mercoledì 30 aprile 2014

Con la chemio salvi solo il 2,5% dei malati di tumore

Un dato sconcertante pubblicato da autorevoli riviste scientifiche americane, dove si legge che dei malati di tumore trattati esclusivamente con la chemioterapia, solo il 2,5% di essi raggiunge i 5 anni di vita. Aspettative di vita di molto superiori invece con il Metodo Di Bella, ma guai a chi pubblica i risultati su questa cura!

 
 
Nel 2014 sono stati pubblicati daNeuroendocrinology Letters, rivista scientifica recensita dalla massima banca dati scientifica mondiale www.pubmed.gov, due studi clinici sull’impiego del Metodo Di Bella (MDB) nei tumori della prostata e della mammella. Con questi, i casi di varie neoplasie complessivamente e favorevolmente trattate col Metodo di Bella salgono a 774.
Il progresso rilevante e il dato innovativo, senza precedenti nella ricerca oncologica e nella terapia del cancro, è costituito dal fatto di aver ottenuto, su tumori solidi, la completa e stabile remissione senza ricovero ospedaliero, senza intervento chirurgico, né radioterapia, né chemioterapia, ma unicamente mediante il Metodo Di Bella:
Di Bella G, Mascia F, Ricchi A, Colori B.
Neuro Endocrinol Lett. 2013;34(7):660-8.
Di Bella G, Mascia F, Colori B.
Neuro Endocrinol Lett. 2013;34(6):523-8. Review.
Mentre l’informazione in Italia (anche se portata a conoscenza con documentazione dettagliata esauriente e completa) si è affrettata a censurare accuratamente ed ermeticamente quest’unico reale e documentato progresso nella terapia dei tumori solidi, ( ottenuto senza chiedere e ottenere nulla per la ricerca scientifica, senza questue, sceneggiate televisive “giornate della vita” o vendite di arance verdure e ortaggi vari), le istituzioni sanitarie, e la cosiddetta autodefinita “ comunità scientifica nazionale“ non si sono interessate alle pubblicazioni per prendere atto di un risultato di per sé rilevante, né per esaminarne il razionale, i meccanismi biochimici e molecolari, le ampie conferme bibliografiche, che hanno consentito questo risultato. C’è stata, al contrario, una mobilitazione generale, hanno scagliato anatemi e lanciato scomuniche contro il MDB, si sono scomodate società scientifiche, istituzioni sanitarie e comitati etici, per cercare ogni cavillo, ogni appiglio, ogni pretesto, ogni espediente, ogni scusa, per delegittimare, non il risultato, non le guarigioni, non l’essenza del problema, non le verità documentate e verificabili, (per cui non hanno assolutamente manifestato il benché minimo interesse, e che non potrebbero contestare), non la sostanza. Dalle irraggiungibili altezze siderali della loro onniscienza hanno sprezzantemente criticato la forma, la procedura, la metodologia delle pubblicazioni, il livello di valutazione della rivista che ha pubblicato gli studi (c.d.”Impact factor”).
Ma cos’è l’Impact Factor?
E’ una sorta di punteggio che viene assegnato ad ogni singola rivista, sulla base di una apposita selezione. La selezione delle riviste è svolta a totale discrezione di Thomson Reuters seguendo un approccio quali-quantitativo; le caratteristiche principali che consentono ad una rivista scientifica di essere presa in considerazione per la misura dell’IF sono:
·        la puntualità nella pubblicazione dei fascicoli;
·        l’applicazione di un processo di valutazione editoriale degli articoli basato sulla peer review;
·        la presenza di un abstract e di informazioni bibliografiche in inglese;
·        l’internazionalità degli autori;
·        l’interesse per il contenuto scientifico in relazione anche alla attuale copertura della specifica categoria tematica o alla trattazione di argomenti emergenti;
·        la presenza di dati citazionali sulla rivista (o sugli autori che vi scrivono) nel database di citazioni delle riviste già censite da Thomson Reuters.
E chi è Thomson Reuters?
Thomson Reuters, società nata il 17 aprile 2008, dalla fusione del colosso dell’informazione finanziaria canadese Thomson e la Reuters. L’accordo, raggiunto per 12,7 miliardi di euro, ha dato vita ad una delle più potenti e importanti società nel campo dell’informazione economico-finanziaria: il nuovo gruppo controllerà infatti il 34% del mercato, con il 33% detenuto da Bloomberg.
Probabilmente a questi eccelsi luminari è sfuggito l’ormai noto e da più parti denunciato meccanismo con cui vengono manipolati dalle multinazionali sia l’impact factor, che l’intera cosiddetta “Comunità scientifica”. E’ sufficiente leggere le dichiarazioni del Premio Nobel per la medicina Randy Scheckman che si ribella alle riviste scientifiche ai primissimi posti dall’Impact Factor,(come Science, Nature e Cell) e ammette che la ricerca in campo scientifico non è affatto libera ma in mano ad una “cerchia ristretta” (c.d. comunità scientifica). Dunque la ricerca scientifica, per il premio Nobel, “…sarebbe tutt’altro che indipendente” questa è l’accusa di Randy Sheckman che incalza sostenendo che “…ormai le riviste scientifiche non pubblicano contenuti in base alle ricerche ma in base all’interesse legato alle vendite…”.
(Per questo riviste indipendenti come Neuroendocrinology Letters , che hanno il coraggio di pubblicare le scomodissime verità scientifiche del Metodo Di Bella pagano la loro grande onestà morale con una grave penalizzazione dell’Impact factor).
“… In questo modo si crea un circolo vizioso perché anche i ricercatori sono spinti a modificare i risultati ottenuti e il loro lavoro per vedere pubblicate le loro ricerche…” Per questo Scheckman è convinto che questa sorta di “supervisore” (l’Impact factor) debba essere eliminato soprattutto per il bene della ricerca scientifica.
La Prof.ssa Marcia Angell, per 20 anni direttrice scientifica editoriale di una delle massime testate medico – scientifiche mondiali , New England Journal, nel suo volume “ The truth about Drug Companies” (La verità sulle case farmaceutiche), conferma e condivide in pieno la denuncia di Sheckman e fa riferimento ad ulteriori gravi denunce di altri autori (tra i quali Melody Petersen), lodandone l’impegno civile e l’approfondita indagine. Segnaliamo tre libri-inchiesta: “Melody Petersen: Dacci oggi le nostre medicine quotidiane: venditori senza scrupoli, medici corrotti e malati immaginari” – “Ray Moynihan e Alan Cassels: Farmaci che ammalano: …le case farmaceutiche che ci trasformano in pazienti” – “Sauveur Boukris: Quelle medicine che ci fanno ammalare“. Ben Goldacre, medico ricercatore inglese nel suo libro: ”La cattiva scienza” ( Bad science) denuncia il sistema della “comunità scientifica” dalle dinamiche perverse e poco trasparenti in cui sono coinvolti “”… soggetti dalla dubbia integrità morale …””assecondano e diffondono il giudizio positivo su un determinato farmaco, basandosi su dati falsati dalle aziende farmaceutiche. Molto spesso, infatti, l’efficacia dei medicinali viene verificata in test clinici malamente progettati, condotti su un numero ridotto di pazienti poco rappresentativi e analizzati con tecniche che ne enfatizzano solo gli effetti positivi. Quando emergono dati negativi, la legge consente all’azienda di tenerli nascosti”.
Ormai le denunce documentate sono sempre più autorevoli, e numerose, es: -Uno studio sul British medical journal rivela che l’87% dei ricercatori che diede parere favorevole al farmaco per il diabete Avandia, prodotto dalla GlaxoSmithKline, sospettato di provocare infarti, avevano ricevuto denaro dai produttori del farmaco. Nel caso dell’Avandia la corruzione emerse anche fra i membri della commissione della Food and Drug Administration chiamata a valutare. Se consideriamo la manipolazione e l’asservimento della ricerca al profitto denunciate da autorevoli personalità, comprendiamo pienamente la desolante impotenza e la grave tossicità nei tumori solidi delle attuali terapie del cancro. I dati scientifici oncologici, quelli veri, non quelli degli imbonitori dell’informazione di regime, smentiscono i trionfali successi dei ”farmaci antineoplastici di provata efficacia” magnificati dalle istituzioni sanitarie, documentandone un’inaccettabile percentuale di mortalità denunciata da un’agenzia della Reuters Healt [Wesport,CT]: “Unexspected high mortality rated associated with chemoterapy regimen…” (“Non ci si aspettava un tasso di mortalità così elevato associato ai protocolli chemioterapici…”). Il dato è confermato dalla pubblicazione di Gerrard [Br.J. Cancer 1998 Jun 77(12) 281-5] con l’undici per cento di decessi, non causati dal tumore ma unicamente da chemioterapia. Viene documentata una mortalità del 17% nella pubblicazione di Ghesquières H, Ferlay C e AA sulla rivista Ann Oncol. 2010 Apr;21(4):842-50. Epub 2009 Nov 13.dal titolo : Long-term follow-up of an age-adapted C5R protocol followed by radiotherapy in 99 newly diagnosed primary CNS lymphomas: a prospective multicentric phase II study of the Groupe d’Etude des Lymphomes de l’Adulte . La sopravvivenza dei malati di tumore, quella vera, delle verifiche scientifiche, non giornalistico-televisive, èessenzialmente dovuta alla chirurgia, molto meno alla radioterapia, e per il 2,5% con chemio, e si riduce, nei pazienti operati , ad un 29% di sopravvivenza a 5 anni (Richards,BMJ2000;320:895–898). Del 29% pertanto solo il 2,5% era dovuto alla chemio, come pubblicato da Morgan G. e AA “The contribution of cytotoxic chemotherapy to 5- year survival in adult malignancies”, sulla prestigiosa rivista oncologica Clin. Oncol [2004 Dec.16(8):549-60]. Questa fondamentale pubblicazione si basa su 14 anni di osservazione, 225.000 pazienti, 22 varietà tumorali, per accertare il reale contributo della chemio al raggiungimento dei 5 anni di sopravvivenza. L’avvilente risultato è questo: su cento ammalati la chemioterapia consente solo al 2,5% di raggiungere i 5 anni, dopo i quali, Lopez nello studio clinico “Long–term results…Experience at the 20 th…” GacMed Mex [1998 mar. Apr,134(2):145-5] ha accertato che metà dei pazienti sopravvissuti a cinque anni, nel lungo termine muore per tumore.
Il dato di fatto che, senza alcuna delle note, gravi e non raramente mortali, complicazioni tossiche della chemio, il MDB abbia documentato nella massima banca dati mondialewww.pubmed.gov risposte obiettive rilevanti e complete, anche in stadi avanzati di carcinomi della mammella in cui l’oncologia ammette notoriamente e chiaramente di essere impotente a ottenere simili risultati, per la “comunità scientifica”, è irrilevante. Motivo ? La rivista che ha pubblicato i risultati del MDB ha un basso impact factor, il Dr. Di Bella fa parte del comitato editoriale e il lavoro non segue (secondo loro), la corretta prassi metodologica. Pertanto un risultato scientifico e clinico di questa portata non conta assolutamente niente. La logica del ragionamento è ovviamente perfetta e ineccepibile , degna delle più eccelse e codificate procedure metodologiche, di impeccabili raccolte dati, di un’ortodossia sancita in quintali di inutili pubblicazioni metodologicamente perfette che hanno portato al nulla, al fallimento noto, conclamato e tragico precedentemente riportato, della cura del cancro che porta a uccidere con chemio dall’undici al diciassette per cento di pazienti in alcune neoplasie, e a 5 anni, a ottenere col la chemio ( in assenza di chirurgia ) il97,5 % di ammalati neoplastici morti.
A fronte di questi noti e certificati risultati delle attuali terapie oncologiche istituzionali “ di provata efficacia “ è etico, razionalmente scientifico, morale, disprezzare e interdire terapie come il MDB che non provocano mortalità e neppure la rilevante tossicità della chemio, conseguono percentuali nettamente più elevate di miglioramenti in tutti gli stadi , fino alla documentata e stabile remissione (sconosciuta all’oncologia) in carcinomi prostatici e della mammella, senza intervento chemio e radio, con abbattimento evidente ed elevatissimo delle spese sanitarie e conseguente crollo del fatturato delle multinazionali?
Sollevare col MDB da drammatiche sofferenze, prolungare esistenze più dignitose e accettabili, salvare vite, documentare il tutto sulla banca dati scientifica mondiale ufficiale www.pubmed.gov, non serve assolutamente a nulla, non viene degnato della minima attenzione, non merita alcuna considerazione ma solo la sprezzante scomunica di questa cosiddetta “comunità scientifica”.

Fonte: www.metododibella.org

giovedì 24 aprile 2014

La coscienza critica di Noam Chomsky 80 anni dalla parte del torto

Gli Usa? Ieri più criminali del Giappone, oggi più pericolosi della Cina. Parola di  un intellettuale “contro”. "Democrazia vuol dire diritti umani e conquiste sociali: non come in Europa dove ci si inchina alla Bundesbank"



Prima di lui ci sono solo Aristotele, Marx, Shakespeare e pochi altri. Poi nella classifica degli intellettuali più citati viene lui, Noam Chomsky, professore emerito di filosofia e linguistica presso il prestigioso Mit (Massachusetts Institute of Technology). Da sempre “coscienza critica” della politica Usa, Chomsky continua a insegnare, scrivere e girare il mondo come se avesse la metà dei suoi anni: 85, per l’esattezza. L’abbiamo incontrato a Tokyo, dove è stato invitato per una serie di conferenze che hanno registrato, come avviene ovunque, il tutto esaurito. Titolo della conferenza: “Capitalismo e Democrazia: prospettive di sopravvivenza”. Poche, secondo Chomsky.


La coscienza critica di Noam Chomsky 
80 anni dalla parte del torto

Cosa la porta in Giappone, professore?
«Mi interesso di Giappone dagli anni Trenta. Da quando, teenager, leggevo dei crimini commessi in Manciuria e in Cina. Mi dava fastidio la differenza di trattamento che subivano , sulla nostra stampa, i “nani gialli” rispetto ai nazisti. Entrambi cattivi, certo, ma i nazisti erano pur sempre ariani, alti e biondi, umani, insomma. I giapponesi erano scimmie, anzi peggio: vermi, formiche da schiacciare. Il doppio standard è andato avanti per molto, direi: visto che tutti chiedono, legittimamente, le scuse del Giappone ma nessuno parla dei nostri crimini di guerra. Le bombe incendiarie che hanno raso al suolo Tokyo erano peggio di quelle di Dresda, e hanno provocato molte più vittime di Hiroshima e Nagasaki, per le quali nessun presidente americano ha ancora chiesto scusa. Ma anche il Giappone ha un passato che ancora pesa sui suoi vicini, un passato che continua a essere sminuito, manipolato, addirittura negato. Come il ruolo dell’esercito e dello Stato nel rastrellare decine di migliaia di donne coreane, cinesi e di altre nazionalità costringendole a prostituirsi per “ristorare” le truppe al fronte».

Tuttavia, come dire, ogni Paese ha i suoi scheletri. In Italia pochi sanno che siamo stati noi italiani i primi a usare le armi batteriologiche e i gas... «Assolutamente d’accordo. Solo che un conto è l’ignoranza, l’omissione sui testi scolastici, un conto è il negazionismo: insomma, in Germania se neghi l’Olocausto rischi la galera, in Giappone se neghi il massacro di Nanchino (nel 1937 l’allora capitale cinese fu occupata dai giapponesi: 300 mila vittime, tra cui migliaia di bambini e di donne stuprate e uccise, ndr) rischi di diventare premier...».

Molti in effetti pensano che le possibilità di un conflitto globale stiano aumentando, di fronte al declino del potere e dell’influenza Usa e l’emergere di una nuova superpotenza, la Cina. È una minaccia, la Cina?
«Innanzitutto non credo al declino della superpotenza Usa. Gli Stati Uniti hanno conquistato questo ruolo nel dopoguerra e tuttora lo mantengono con immutata violenza e arroganza. Lasciamo per un attimo perdere la situazione qui in Oriente, dove gli Usa esprimono “preoccupazione” per il fatto che la Cina cerca di rafforzare la sua influenza nelle acque circostanti, mica nei Caraibi o davanti alle coste della California, ma ci rendiamo conto di quanto sta succedendo in Crimea?»
Era la mia prossima domanda…
«Ecco, le ho letto nel pensiero. In questi giorni leggo editoriali pazzeschi, da guerra fredda. Roba da non credere. Ma come si fa a paragonare l’azione di Putin in Crimea oggi con l’Ungheria, la Cecoslovacchia, l’Afghanistan. Nemmeno George Orwell avrebbe mai immaginato un tale asservimento al “pensiero unico”. Ma come si fa a scrivere certe cose? Come fa l’Occidente che ha aggredito e invaso l’Iraq, bombardato l’Afghanistan, passivamente assistito - se non attivamente provocato - lo smembramento della Jugoslavia e riconosciuto il Kosovo a protestare, indignarsi, addirittura adottare sanzioni contro la Russia per quanto sta succedendo in Crimea, dove non mi risulta vi siano stati massacri, pulizie etniche, violenze? Mi chiedo perché continuiamo a considerare il mondo intero come nostro territorio, che abbiamo il diritto, quasi il dovere di “controllare” e, nel caso, modificare a seconda dei nostri interessi».

Ma il continuo aumento delle spese militari cinesi, il tentativo di cominciare ad aprire basi militari all’estero, per esempio in Zimbabwe…
«Non scherziamo. A parte che la storia della base militare cinese in Zimbabwe sembra sia una bufala: ma anche se fosse vero, cosa cambierebbe? Una contro mille? La Cina non ha basi militari in tutto il mondo, non pretende di imporre il suo modello socioeconomico a nessuno e soprattutto, tranne una piccola scaramuccia con il Vietnam ai tempi di Deng Xiaoping, non mi risulta abbia mai invaso nessuno. Quanto alle spese militari, per quanto le possano aumentare, non sono minimamente comparabili con quelle degli Stati Uniti: le nostre spese militari sono più o meno equivalenti a quelle del resto del mondo intero. Senza pensare che gli Usa hanno alleati dappertutto, dall’Europa al Giappone, mentre la Cina è sola. Suvvia: paragonare la potenza militare Usa con quella della Cina non ha senso. Come non aveva senso paragonarla, a suo tempo, con quella dell’Urss».

Eppure il mondo ha paura della Cina.
«Ma neanche per sogno, queste sono le solite ossessioni occidentali, amplificate da una stampa ghiotta di senzazionalismi e capace solo di alimentare stereotipi, anziché studiare e decifrare la realtà. Eppure dei dati ci sarebbero. Di recente ho letto i risultati di un sondaggio condotto in Europa, un sondaggio pubblico, citato anche dalla Bbc. Una delle domande era su quale paese veniva percepito come maggior pericolo per la pace». Mi lasci indovinare: vincono gli Usa?
«Sì, ma con enorme distacco, siamo oltre il 70 per cento. Secondo è il Pakistan, poi l’India, infine la Cina, con un mero 10 per cento. Gli europei sono esperti di guerre, sanno distinguere una minaccia fasulla da una reale. Quanto a devastazioni, e invasioni, non siete secondi a nessuno...»
Touché. Ma torniamo in Oriente. Come vede la questione coreana? C’è qualche speranza che Obama porti a termine quello che Clinton era riuscito a iniziare, e cioè un serio negoziato bilaterale, allo scopo di firmare, finalmente, un trattato di pace?
«Intanto ha fatto bene a ricordare in che periodo eravamo: era il 1994, ci fu un accordo e l’allora segretario di Stato Madeleine Albright andò, accolta con rispetto e serietà, a Pyongyang. Si parlava di un imminente vertice tra l’allora leader Kim Jong Il e Clinton. Poi Clinton fu distratto dalla questione medio-orientale, il lungo negoziato di Camp David, finito male, e il dossier coreano è rimasto lì, sul tavolo. Poi è arrivato Bush e sappiamo come è andata. Sono stati gli Usa, sia ben chiaro, a violare gli accordi e a provocare la corsa al nucleare del regime nordcoreano. Quando si insediò per la prima volta Bush, Pyong Yang non aveva ordigni nucleari. Oggi pare ne abbia otto. Questi sono i fatti. Ma se leggi i resoconti della stampa di tutto il mondo o se chiedi in giro di chi sia la responsabilità, risulta che i “cattivi” siano solo e unicamente i nord coreani. Strano modo di raccontare la storia».

Un suggerimento per Obama, se volesse passare alla storia per qualcosa di più che essere riuscito a far passare la riforma sanitaria?
«Rilanciare e puntare decisamente sul negoziato diretto e nel frattempo sollecitare la Corea del Sud a rilanciare la cosiddetta “sunshine policy”, la politica del dialogo, dell’apertura al nord attraverso scambi culturali e economici. E magari smetterla di svolgere, due volte l’anno, mega esercitazioni militari congiunte sotto il naso di Pyongyang. Quest’anno hanno addirittura simulato un bombardamento “preventivo” a nord del confine: ma quanta follia ci vuole per inventarsi una cosa del genere? Avete idea di cosa abbiano provocato, durante la guerra di Corea, i bombardamenti americani? Il nord venne raso al suolo, ed in molti casi vennero utilizzate bombe speciali e armi chimiche, con “ricette” ottenute dai criminali di guerra giapponesi che le avevano studiate e prodotte in Cina e che per questa loro “collaborazione” vennero poi prosciolti e reintegrati nella società: alcuni sono diventati ministri…»

Allarghiamo il discorso, professore. La democrazia. Churchill una volta disse che non era un sistema perfetto, ma era il migliore conosciuto. Però la “democrazia” ha espresso, con libere e ripetute elezioni, personaggi come Berlusconi in Europa e Thaksin in Thailandia. È ora di trovare un sistema più “democratico”, della democrazia?
«Il problema non è la democrazia. Il problema è cosa ne abbiamo fatto. La democrazia non è una parola vuota. Significa alcune cose. Significa, ad esempio che gli operai debbono gestire le loro fabbriche: e cito l’icona del liberalismo classico, John Stuart Mill, che non era certo un bolscevico. Democrazia significa diritti umani e conquiste sociali. Non significa, come sta avvenendo oggi in Europa, che i cittadini europei debbano vedersi restringere, se non cancellare, i sacrosanti diritti conquistati in anni e anni di lotte sociali e sottomettersi ai diktat dei funzionari di Bruxelles e della Bundesbank. Lei ha citato Berlusconi, e certamente non è stata una bella pagina della vostra storia, ma chi ha eletto Monti? Chi ha eletto Renzi? La Bundesbank. Questa non è democrazia. Leggevo qualche giorno fa un interessante editoriale del “Wall Street Journal”, quotidiano non certo sovversivo. Scrivevano, penso giustamente, che ormai non è più questione di destra e sinistra, e nemmeno di centrodestra e centrosinistra. Qualsiasi governo venga “eletto”, in Europa, è più o meno costretto a muoversi nella gabbia imposta da Bruxelles. Pensate a quello che è successo a Papandreu, il premier socialista greco che per qualche mese ha provato a “sfidare” Bruxelles. Per il solo fatto di aver minacciato di sottoporre la politica dell’austerità ad un referendum popolare, Papandreu è stato crocifisso e, di fatto, “espulso” dallo scenario politico eruopeo».

Tornando al Giappone, cosa pensa del nucleare? Tre anni dopo Fukushima, il governo sembra voler far ripartire I reattori...
«Beh, non è una questione semplice. Parlare di riattivare i reattori in un paese che sta ancora vivendo l’emergenza provocata dall’incidente di Fukushima capisco che sia problematico. Ma anche aumentare il consumo di combustibili fossili ha i suoi rischi: è in gioco il disastro ambientale, non è mica uno scherzo. La cosa migliore è puntare tutto, risorse umane , tecnologiche e finanziarie sulle energie alternative, come ha annunciato la Germania».

Un’ultima domanda, in ossequio alla sua originale specializzazione, la linguistica. Che lingua dovremmo far studiare ai nostri figli e nipoti? Insistiamo con l’inglese o è meglio passare al cinese?
«Mi sta chiedendo chi guiderà il mondo, nel prossimo futuro, giusto? Gli Stati Uniti. La Cina non solo non è una minaccia militare e tanto meno politica, ma non è neanche una supepotenza economica. La sua strabiliante crescita dipende ancora dalla tecnologia straniera: Giappone, Corea, Taiwan, Usa ed Europa. Sta crescendo e continuerà a crescere, ma speriamo che nel frattempo ricominci a crescere anche l’Occidente. Quanto alla lingua, per chi come noi americani parla già inglese, studiare il cinese è certamente utile. Ma per tutti gli altri penso che imparare l’inglese sia ancora, per un bel po’, prioritario. Ma è una mia opinione, e come ben sapete, sono ottant’anni che sono dalla parte del torto!».

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