domenica 26 febbraio 2012

Documenti segreti sulla tragedia di Ustica


libyanfreepress

Documenti segreti libici svelano la tragedia di Ustica e come Gheddafi si salvò riparando a Malta

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Secondo i resoconti dei media italiani, i documenti riservati trovati negli archivi del servizio segreto libico, dopo la caduta di Tripoli, che sono ora nelle mani di Human Rights Watch, dimostrano ciò che ha provocato l’abbattimento del Dc-9 Itavia sul Mediterraneo, presso l’isola di Ustica, il 27 giugno 1980. Ottantuno persone a bordo del volo, sulla rotta da Bologna a Palermo, sono morte.

Come si è a lungo sospettato, i documenti confermano che un missile aveva colpito l’aereo, dopo che era stato scambiato per un aereo che trasportava il leader libico Muammar Gheddafi.

Secondo i documenti, due jet francesi all’inizio attaccarono l’aereo, e poi s’impegnarono in un duello con un solitario caccia MiG, che portava le insegne della Jamahiriya, e che si pensava scortasse il colonnello Gheddafi, fino a quando non impattò nella regione montuosa della Sila, nel sud d’Italia. Il colonnello Gheddafi, informato in tempo dell’attacco, riparò a Malta, dove atterrò col suo Tupolev, secondo i documenti.

Sembrerebbe, dalle carte dei servizi segreti trovate, che Gheddafi sia stato informato dai servizi segreti italiani (SISMI), che stava per essere attaccato, e aveva cercato rifugio a Malta.

Le autorità italiane hanno isolato l’area in cui il MiG cadde, e un giornalista e un fotografo, che cercavano di scoprirne la vicenda, al momento, furono arrestati e trattenuti per ore dalla polizia, fino a che non svelarono ciò che avevano documentato. Più tardi, le autorità libiche affermarono che il pilota del MiG era in volo di addestramento, quando avrebbe perso la rotta. Il suo cadavere, che era già stato sepolto, fu riesumato; l’autopsia venne effettuata e il cadavere fu poi rimpatriato in Libia. Pochi giorni dopo, il 7 luglio 1980, una bomba distrusse gli uffici della Libyan Arab Airlines, a Freedom Square, a La Valletta, e ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell’Istituto libico di Cultura, a Palace Square, in quel periodo.

Secondo un libro del giornalista e storico francese, Henri Weill, la bomba e l’incendio doloso furono opera dei servizi segreti francesi, lo SDECE, come anche un attacco a una nave libica, a Genova. Poi, meno di un mese dopo, il 2 agosto 1980, un’enorme bomba distrusse la maggior parte della stazione ferroviaria di Bologna, e 80 persone furono uccise. La responsabilità dell’attacco terroristico non è mai stata stabilita con certezza. Proprio questa settimana, un tribunale italiano ha ordinato al governo di pagare 100 milioni di euro di danni civili ai parenti delle 81 persone uccise nel disastro aereo del 1980, che tuttora rimane ancora uno dei misteri più duraturi dell’Italia, almeno fino a quando i documenti scoperti questa settimana, saranno studiati a fondo.

Il governo italiano ha dichiarato che avrebbe fatto ricorso contro la decisione del tribunale civile di Palermo, che ritiene i ministeri della difesa e dei trasporti responsabili di aver omesso di garantire la sicurezza del volo. Tra le altre teorie sulle cause dell’incidente, vi era quella di una bomba a bordo o che l’aereo fosse stato accidentalmente preso in mezzo a un duello aereo.

L’avvocato Daniele Osnato, che insieme a un manipolo di avvocati rappresentati i parenti delle 81 vittime, ha detto che la giustizia è stata finalmente fatta. Oltre a determinare che i ministeri competenti non erano riusciti a proteggere il volo, ha detto, il tribunale ha anche concluso che erano colpevoli di aver nascosto la verità e di aver distrutto le prove.

Un’altra teoria sul dogfight aereo, aveva avuto credito dal giudice Rosario Priore, il quale aveva inizialmente accusato dei generali di esserne i responsabili. Il giudice Priore aveva teorizzato che un missile, lanciato da un caccia statunitense o da un altro aereo della NATO, avesse accidentalmente colpito il jet di linea interna italiano, durante il tentativo di abbattere un aereo libico.

Funzionari francesi, statunitensi e della NATO, hanno a lungo negato qualsiasi attività militare nei cieli, quella notte.

Fonte originale in inglese: AlFatah69
Traduzione italiana di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Fonte: libyanfreepress 2 Ottobre 2011

giovedì 23 febbraio 2012

Auto "killer": sostanze chimiche nocive negli abitacoli

Auto killer: sostanze chimiche nocive negli abitacoli

Vi sarà sicuramente capitato di fare un commento positivo sul "profumo di nuovo" di un'auto appena uscita dalla concessionaria. Forse però non sapete che spesso quell'odore deriva dai prodotti chimici utilizzati nella lavorazione delle parti interne dell'abitacolo.
Secondo una ricerca condotta dall'Ecology Center del Michigan (Usa), oltre cento modelli di auto prodotti tra il 2011 e il 2012 sarebbero fortemente dannosi per la salute. I prodotti chimici utilizzati dalle industrie produttrici provocherebbero disfunzioni riproduttive, problemi al geato, allergie e nei peggiori casi anche tumori.
"La ricerca mostra che gli interni dell’auto contengono un cocktail di centinaia di agenti chimici che si concentra in uno spazio ridotto" ha spiegato Jeff Gearhart, direttore della ricerca all’Ecology Center. Dalle analisi effettuate sul cruscotto, i sedili, il volante e i braccioli, le sostanze maggiormente presenti e più dannose sarebbero cloro, pvc, plastificanti, piombo e bromo.

Fonte: http://www.ogginotizie.it

martedì 21 febbraio 2012

Sconforto all'Umberto I di Roma: donna in coma legata a una barella per 4 giorni

Una signora di 59 anni, in coma dopo un trauma cranico, è stata trovata legata a una barella con delle lenzuola e senza nutrizione, in attesa ormai da quattro giorni di essere ricoverata 'da un minuto all'altro'. A denunciare la triste scoperta sono stati i senatori, eletti nel Lazio, Ignazio Marino (Pd) e Domenico Gramazio (Pdl), dopo un 'blitz' effettuato al Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I.

di Claudia Zichi

"La signora aveva solo la flebo con l'acqua fisiologica" e "i sanitari ci hanno spiegato che erano in attesa, da un minuto all'altro, di poterla trasferire in un altro reparto per darle assistenza", hanno riferito all'Ansa Gramazio e Marino. Nel frattempo, per 4 giorni, la signora è rimasta in attesa nella cosiddetta "Piazzetta", legata con delle lenzuola a mani e piedi alla barella per evitare cadute, visto che il letto era senza sponde. La causa di questa condizione? La mancanza di posti letto per il ricovero.

La Piazzetta è il nome dato, con tragico sarcasmo, a una stanza di passaggio più capiente dei corridoi: potrebbe accogliere al massimo 8 persone, ma in media se ne trovano una ventina, e contemporaneamente un'altra decina di pazienti attendono in Osservazione breve e altri cinque o sei aspettano nel box. Dunque una media di 34 persone in attesa. I medici arrivano anche a dover far fronte contemporaneamente a 50 malati, racconta un operatore sanitario che lavora al Policlinico Umberto I di Roma: “Ogni giorno ‘si va in guerra’”. L'ambiente richiama in effetti le tende della Croce Rossa in un ospedale militare, peccato solo che l'Umberto I sia uno degli ospedali più rinomati della capitale.

I medici combattono non solo contro la morte, ma anche contro burocrazia e tagli a spese e personale. "Rischiamo ogni giorno e mettiamo a repentaglio la nostra professionalità, ma l'obiettivo é salvare vite umane - spiega l'operatore con molta esperienza di Primo Soccorso - dunque anche su una barella, sì, anche nel sovraffollamento noi teniamo fede al giuramento d'Ippocrate. E ci prendiamo delle responsabilità solo per aiutare chi sta male". Parole degne di un medico da campo.

"Si tratta di una situazione che non è giustificabile in alcun modo", replica il senatore Marino, che intende denunciare la situazione verificata oggi al Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma alla Procura della Repubblica. "Ognuno di noi potrebbe essere quella donna - spiega - non si può andare avanti così. Concorde il parere di Domenico Gramazio, che spiega di dover ancora parlare con Marino dell'ipotesi di denuncia, e intanto si dice contrario all'idea che la commissione parlamentare sul servizio sanitario apra una seconda inchiesta sul 'caso' perché potrebbe sovrapporsi a quella della magistratura. Nel frattempo il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha già disposto l'invio d'urgenza di una visita ispettiva presso il Policlinico: gli ispettori sono già arrivati all’ospedale e stanno raccogliendo tutti gli elementi relativi alla vicenda.

Il direttore del Dea (Dipartimento di Emergenza e Accettazione), Claudio Modini, afferma che "la donna, in coma da tre giorni, viene assistita al meglio, con terapia idrica. Non è nei miei poteri - ha proseguito - trovare il posto dove dovrebbe essere ricoverata, cosa che auspico, ma si cerca comunque di curarla al meglio. E' un fatto che capita spesso, ma in questi casi l'ammalato è comunque assistito. E' assistita al meglio dalle migliori professionalità medico-infermieristiche, 24 ore su 24. I due senatori - conclude - hanno verificato un fenomeno noto da anni, quello dei grandi ospedali in cui i pazienti aspettano per ore, o per giorni, un ricovero".

In un clima piuttosto ostile, la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, non rinuncia a esortare i cittadini a continuare a fidarsi della sanità pubblica e soprattutto di tutto il personale altamente qualificato, medico e non medico, impegnato quotidianamente a garantire il diritto alla salute delle persone.

Non ammette invece scusanti il presidente Codacons, Carlo Rienzi, secondo il quale "siamo di fronte ad una violenza inaccettabile e ad una chiara lesione della dignità umana. Invitiamo i parenti della donna in coma, anche attraverso l'assistenza del Codacons, a chiedere i danni ai responsabili di tutto ciò: ospedale, Regione Lazio e Servizio Sanitario Nazionale. Non basta scaricare le responsabilità dell'accaduto sulla mancanza di posti letto, riteniamo che simili episodi debbano essere puniti, e il danno subito dalla paziente e dai suoi familiari adeguatamente risarcito".

Fonte: http://www.laperfettaletizia.com

Commento di Oliviero Mannucci: Egregia Polverini, lei dice che i cittadini devono fidarsi della sanità pubblica. Lo sa come dicono i saggi in India:" Il maestro insegna sempre con l'esempio", cominciate voi politici a servirvi delle strutture pubbliche invece di far spendere più di 10 000 000 di euro agli italiani per la sanità utilizzata da voi politici, che è completamente a parte.

Quanto costa ai contribuenti l’assistenza sanitaria integrativa dei deputati

…non voglio farle perdere tempo – leggo OGGI dal suo apparire, mi sembra nella seconda metà degli anni “40 -
Le voglio solo significare che sono sempre d’accordo con i suoi pensieri, quelli che esplicita sul settimanale che dirige. – Grazie , glielo devo – Perchè i nostri governanti ( g ) non danno mai neppure un segno per dimostrare che si uniscono a noi per fare quelle economie semplici e necessarie, senza scomodare la Costituzione ? esempio, eliminare quelle mense da disederati della camera e del senato, eliminare i barbieri ed i parrucchieri, usare i ristoranti attorno alle camere e dar lavoro alle attività limitrofe.
Buon lavoro e distinti saluti da parte di un pensionato e se le avanza tempo, legga qui sotto, ma forse lo conosce giàPer la prima volta viene tolto il segreto su quanto costa ai contribuenti l’assistenza sanitaria integrativa dei deputati. Si tratta di costi per cure che non vengono erogate dal sistema sanitario nazionale (le cui prestazioni sono gratis o al più pari al ticket), ma da una assistenza privata finanziata da Montecitorio. A rendere pubblici questi dati sono stati i radicali che da tempo svolgono una campagna di trasparenza denominata Parlamento WikiLeaks. http://www.radicali.it/parlamento-wikileaks Va detto ancora che la Camera assicura un rimborso sanitario privato non solo ai 630 onorevoli. Ma anche a 1109 loro familiari compresi (per volontà dell’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini) i conviventi more uxorio. Ebbene, nel 2010, deputati e parenti vari hanno speso complessivamente 10 milioni e 117mila euro. Tre milioni e 92mila euro per spese odontoiatriche. Oltre tre milioni per ricoveri e interventi (eseguiti dunque non in ospedali o strutture convenzionati dove non si paga, ma in cliniche private). Quasi un milione di euro (976mila euro, per la precisione), per fisioterapia. Per visite varie, 698mila euro. Quattrocentottantotto mila euro per occhiali e 257mila per far fronte, con la psicoterapia, ai problemi psicologici e psichiatrici di deputati e dei loro familari. Per curare i problemi delle vene varicose (voce “sclerosante”), 28mila e 138 euro. Visite omeopatiche 3mila e 636 euro. I deputati si sono anche fatti curare in strutture del servizio sanitario nazionale, e dunque hanno chiesto il rimborso all’assistenza integrativa del Parlamento per 153mila euro di ticket. Ma non tutti i numeri sull’assistenza sanitaria privata dei deputati, tuttavia, sono stati desegretati. “Abbiamo chiesto – dice la Bernardini – quanti e quali importi sono stati spesi nell’ultimo triennio per alcune prestazioni previste dal ‘fondo di solidarietà sanitarià come ad esempio balneoterapia, shiatsuterapia, massaggio sportivo ed elettroscultura (ginnastica passiva). Volevamo sapere anche l’importo degli interventi per chirurgia plastica, ma questi conti i Questori della Camera non ce li hanno voluti dare”. Perché queste informazioni restano riservate, non accessibili? Cosa c’è da nascondere? Ecco il motivo di quel segreto secondo i Questori della Camera: “Il sistema informatizzato di gestione contabile dei dati adottato dalla Camera non consente di estrarre le informazioni richieste. Tenuto conto del principio generale dell’accesso agli atti in base al quale la domanda non può comportare la necessità di un’attività di elaborazione dei dati da parte del soggetto destinatario della richiesta, non è possibile fornire le informazioni secondo le modalità richieste”. Il partito di Pannella, a questo proposito, è contrario. “Non ritengo – spiega la deputata Rita Bernardini – che la Camera debba provvedere a dare una assicurazione integrativa. Ogni deputato potrebbe benissimo farsela per conto proprio avendo gia l’assistenza che hanno tutti i cittadini italiani. Se gli onorevoli vogliono qualcosa di più dei cittadini italiani, cioè un privilegio, possono pagarselo, visto che già dispongono di un rimborso di 25 mila euro mensili, a farsi un’assicurazione privata. Non si capisce perché questa ‘mutua integrativà la debba pagare la Camera facendola gestire direttamente dai Questori”. “Secondo noi – aggiunge – basterebbe semplicemente non prevederla e quindi far risparmiare alla collettività dieci milioni di euro all’anno”.

Fonte: http://www.oggi.it


lunedì 13 febbraio 2012

Eternit: imputati condannati a 16 anni

13-02- 2012

Il Tribunale di Torino ha condannato a 16 anni di carcere ciascuno il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier alla fine del processo Eternit. L'accusa aveva chiesto per i due, accusati di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche, una condanna a 12 anni, aumentati a 20 a causa della continuazione del reato.Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, era imputato insieme al barone belga Louis de Cartier, 90 anni: i due sono stati alti dirigenti della multinazionale svizzera Eternit.

Prescrizione per Rubuera e Bagnoli
Il dispositivo ha fatto una distinzione tra gli stabilimenti italiani, dichiarandoli colpevoli per quanto riguarda Casale Monferrato e Cavagnolo (Torino), mentre il reato sarebbe estinto per prescrizione per gli stabilimenti di Rubiera, in Emilia Romagna, e Bagnoli, in Campania.

Le lacrime dei parenti
Alcuni parenti delle vittime della strage collegata agli stabilimenti Eternit sono scoppiati in lacrime alla lettura della sentenza che condanna i due alti dirigenti della multinazionale a 16 anni di reclusione.

I risarcimenti
È in corso la lettura di quanto predisposto dal tribunale come risarcimento provvisionale per le parti civili che si sono costituite nel dibattimento. La somma più alta è stata riconosciuta finora al comune di Casale Monferrato, 25 milioni, a Regione Piemonte, 20 milioni, all'Inail, 15 milioni di euro. Da 60 a 30mila euro ai parenti delle vittime, 35mila agli ammalati di patologie connesse all'amianto, 100mila euro a sindacati e associazioni.

La Cgil: decisione esemplare
«Un processo storico e una sentenza esemplare». Così il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, commenta la decisione del tribunale di Torino.

Il ministro della Sanità: sentenza storica
«È una sentenza che senza enfasi si può definire davvero storica, sia per gli aspetti sociali che per gli aspetti strettamente tecnico-giuridici». Lo afferma il ministro della Salute, Renato Balduzzi. È stata, sottolinea, «una battaglia comune, e ad essa si deve l'aver tenuto desto il problema, anche quando sembrava finire sottotraccia». Ma la battaglia contro l'amianto, prosegue Balduzzi, «non si chiude con una sentenza, sia pure esemplare, ma continua nell'attività amministrativa e nell'impegno delle istituzioni e dei cittadini, soprattutto nella consapevolezza da parte di ognuno che non si tratta di una battaglia locale, ma nazionale, anzi mondiale».

Fonte: http://www.ilsole24ore.com

domenica 5 febbraio 2012

L'obsolescenza programmata: fondamento di una società antiecologica


Bisogna riacquisire quell'intelligenza ecologica che Daniel Goleman ha sapientemente rispolverato dalle già consolidate abitudini dei nostri nonni, la necessità di non comprare. Non acquistare. Riparare, recuperare, aggiustare finché si può. Finché resta un solo pezzo di ricambio utile, un solo oggetto migliorabile e non sostituibile


Roberto Cazzolla Gatti, Biologo ambientale ed evolutivo

«Crescete e moltiplicatevi... e poi?». Così recitava una vecchia vignetta scimmiottando il motto biblico dell'infinito progresso umano. L'immagine mostrava un pianeta pieno di uomini in bilico su quella sfera limitata che è la Terra, mentre alcuni, coloro che non sopravvivevano alla lotta per l'esistenza direbbero i neo-darwinisti, precipitavano miseramente verso l'infinito in un antigravitazionismo da fantascienza. Quel fotogramma di cartoon, nonostante la sua grossolanità, coglie nel segno riassumendo la fallacia dell'idea di crescita incondizionata propugnata non solo dal mondo ecclesiastico, ma anche da tutti coloro che invece di mettere in guardia l'umanità evitano volontariamente la discussione.

Uno degli effetti dell'iper-espansione umana sul Pianeta è l'appropriazione indebita di oltre il 60% di tutta la produzione primaria, cioè quella derivante dalla fotosintesi, a scapito di ciò che resta della Natura. Tale sottrazione di energia non solo danneggia profondamente gli ecosistemi, alterando i cicli della materia necessari al mantenimento dell'equilibrio dinamico in cui essi persistono e riducendo le popolazioni delle altre specie presenti sulla Terra, ma alimenta una produzione che travalica con il suo impatto i «confini planetari».

La tecnosfera in cui ormai vive buona parte dell'umanità è, infatti, un surrogato artificiale di quell'ecosfera in cui ogni cosa ha un senso, una funzione, un ordine. All'interno della tecnosfera ogni apparente necessità si trasforma ben presto nella creazione di un nuovo bisogno, alimentando un ciclo senza fine di produzione hi-tech e soddisfacimento materialistico della propria esistenza.

Sono più i bambini seduti dinanzi ad un computer in questo momento di quelli che corrono in un campo di grano o ammirano il parto di una gatta in un fienile. Ma non è la ricerca di un bucolico passato a dover interessare, né la demonizzazione di un modus vivendi, il materialismo tecnologico, che in un modo o nell'altro ha reso più facile ed apparentemente più soddisfacente la vita delle nuove generazioni.

Ciò che deve destare preoccupazione, oltre alle ripercussioni psico-sociali dell'avvento di un mondo surrogato fatto di pc e videogiochi, è la volubile ragionata esistenza dei beni che costituiscono la base su cui poggia il nostro amato benessere. iPhone, iPad, Smartphone, Tablet, Netbook sono straordinari congegni di apertura verso il mondo che, però, racchiudono in sé l'emblema di uno stile di vita usa e getta, che non solo danneggia l'ambiente, ma sfrutta anche le persone.

L'obsolescenza programmata è una vera e propria legge nell'attuale economia industriale. Studiare il modo affinché i prodotti non durino oltre un certo periodo di tempo, che solitamente corrisponde a qualche istante dopo il termine della garanzia. Nel caso di beni non tecnologici, l'obsolescenza potrebbe dirsi immediata. Non è un amarcord dolceamaro rievocare i nonni che parlavano di radio, tv, giradischi, automobili indistruttibili che per decenni avevano svolto il loro ruolo nel pieno delle facoltà. «Eh, le vecchie lavatrici duravano tanto»... «Ah, quei frigoriferi di una volta, potevi usarli per trent'anni ed erano sempre nuovi»... Un po' per ragioni economiche, un po' perché la globalizzazione con l'esternalizzazione dei costi su ambiente e persone ancora non aveva raggiunto gli attuali livelli di follia ed indifferenza, quelle esclamazioni malinconiche si riferivano ad un mondo in cui tutto era organizzato per durare.

Non c'era alcuna possibilità di sostituire ad ogni minimo guasto un qualunque bene materiale. Al massimo si poteva riparare ed, infatti, oltre il 70% dei mestieri era basato sulla specializzazione in un ars riparatoria che permetteva ad intere famiglie di vivere di quel reddito. C'era il calzolaio, il fabbro, l'idraulico, l'arrotino, l'aggiustatore di cucitrici, l'orologiaio, colui che riparava le macchine da scrivere, tutti impegnati a rimettere a nuovo, piuttosto che a produrre da zero, gli oggetti della quotidianità. Oggi, invece, ad ogni versione di cellulari, pc, televisori è necessario ricorrere all'acquisto di un nuovo modello. Dopo qualche mese il nuovo prodotto è già non funzionate perché assemblato in Cina, in fabbriche dalle pessime condizioni di igienico-sanitarie e di lavoro, che sfruttano manodopera a basso costo producendo con materiali scadenti ed inquinanti, estratti senza il benché minimo scrupolo dalle devastate aree naturali circostanti. O magari importate illegalmente dal bacino del Congo, dove si deforesta per recuperare le terre rare o dal Rio delle Amazzoni, dove dighe, sbarramenti ed acque intrise di mercurio da far invidia ad un tonno da sushi, servono innanzitutto a recuperare oro, petrolio e carbone che alimentano la folle produzione industriale moderna.

Un'obsolescenza che è all'origine della maggior parte degli squilibri mondiali e delle disparità di reddito che vede i poveri diventar sempre più poveri ed i ricchi arricchirsi ad ogni cellulare acquistato, ad ogni nuovo pc. Di questi tempi, però, riparare qualcosa è diventata un'impresa da fanatici. Per fare un esempio concreto, il computer dal quale è stato scritto questo articolo, nei soli primi due anni di vita (e già si direbbe un record di longevità dal momento che la casa produttrice definisce «due anni la vita media del modello») ha dovuto subire la sostituzione di scheda madre, schermo Lcd, tastiera, alimentatore e mouse. Impresa a dir poco disperata e che scoraggerebbe molti vista la penuria di pezzi di ricambio, anche usati, e soprattutto la carenza di persone capaci ormai di riparare qualcosa. Tanto vale comprarne uno nuovo, come suggeriscono coloro che un tempo aggiustavano ed ora, invece, vendono «il nuovo».

Non ne vale la pena, dicono. D'altra parte se si conteggia la somma spesa nella riparazione anche di un semplice notebook si arriva vicini al prezzo dello stesso oggetto appena prodotto. Ovvio, se l'esternalizzazione dei costi ricade sempre su chi non ha voce. Se per riparare un pc con pezzi usati si spende quanto acquistarne uno nuovo, dov'è conteggiata nel prezzo sullo scaffale la manodopera, il costo delle materie prime, l'impatto delle estrazioni delle risorse naturali ed i costi di trasporto? Semplice, sono finiti nel cestino del debito ecologico che da tempo accumuliamo e sotto il tappeto dei diritti umani, dove una polvere nera di soprusi e maltrattamenti è nascosta alla vista di superficiali coscienze che sfoggiano il modello all'ultimo grido. E questo vale per tutto. Anche per le semplici stoviglie, che si frantumano dopo due utilizzi o per i televisori, ultrapiatti, alta qualità, dolby surround che dopo un anno devi cambiare perché «già vecchi e mal funzionanti».

Ma l'obsolescenza programmata di un mondo in mano alle multinazionali sfoggia il suo cavallo di troia nell'invenzione dell'«ultima versione aggiornata». Un altro modo per dire: abbiamo cambiato un pezzo non indispensabile ad un prodotto che già avevi, ma se lo vuoi non puoi sostituirlo a quello che hai, devi ricomprartelo nuovo per intero. Così una Ram, una scheda madre, un circuito stampato per l'Hdmi, un semplice Abs, tutte tecnologie che di per sé sono di gran vantaggio (ed a volte salvano la vita) diventano la scusa per indurre all'acquisto. Buttare il vecchio per comprare il nuovo. Non è a questo che servono gli incentivi alla rottamazione delle auto? Li chiamano eco-incentivi, ma l'eco si sa, è qualcosa che torna sempre indietro come un boomerang. Cosa ci sarà mai di ecologico nel sostituire la vecchia auto con una nuova? La risposta è preconfezionata: le nuove tecnologie, come la marmitta catalitica Euro 4, il controllo elettronico dei consumi, il sistema ibrido permettono di ridurre l'impatto della vettura sull'ambiente e rendono la tua vita migliore. Peccato che come tutti i buoni ecologisti sanno «l'auto più ecologica è quella che non compri». Così una vecchia Punto, magari Euro 0, inquinerà di più circolando per le vie cittadine con la sua marmitta che borbotta fumi, ma sarà certamente di minor impatto sull'ecosfera di una nuova Citycar prodotta con l'utilizzo di nuove materie prime e di nuove risorse naturali, satolla di elettronica divora-energia, importata dall'altra parte del mondo dov'è stata fabbricata in industrie inquinantissime... che però alimenta la tecnocrazia. Il governo della tecnologia.

Nella cecità della green-economy abbiamo dimenticato gli insegnamenti vernacolari. Quelli che provengono da un passato non molto lontano e che ci hanno permesso di essere felici pur senza «il modello all'ultimo grido». Così le lampadine a risparmio energetico non hanno segnato una graduale sostituzione delle vecchie inquinanti con le nuove, led o fluorescenti, prodotte nel rispetto dell'ambiente, e magari anche dell'uomo. No, governi ed associazioni hanno premuto affinché cambiassimo le vecchie lampadine con i bulbi a filamento con quelle a risparmio. Che però sono quasi tutte prodotte in Cina, contengono un'enorme quantità di plastiche ed altri materiali non riciclabili ed hanno corroso le mani dei bambini che le assemblavano fondendo metalli pesanti.

Ecco, quindi, che nel tentativo tipico dell'umanità di rimediare ai danni della tecnologia con la tecnologia, si produce qualcosa che è peggio di ciò che si sostituisce. Ovviamente dal punto di vista della Natura, che è l'estrema ratio a cui rivolgere l'attenzione. Non certo dal punto di vista della multinazionale, il cui solo scopo è alimentare un'economia lineare fatta di produzione e consumo o quello dei governi, che ad ogni pie' sospinto invitano ad uscire dalla crisi aumentando gli acquisti. Certamente, parafrasando Lester Brown, le crisi economiche possono far paura e possono anche esser superate, ma quelle ecologiche alimentate dall'acquisto compulsivo, dallo sperpero delle risorse naturali per la produzione dei beni e dall'obsolescenza programmata, non lasciano possibilità di scampo.

Allora, si affaccia come un'esigenza impellente per recuperare il piacere dell'utilizzo e non quello del consumo, per riprendere contatto con gli oggetti che accompagnano la nostra effimera esistenza ed apprezzarli e per riacquisire quell'intelligenza ecologica che Daniel Goleman ha sapientemente rispolverato dalle già consolidate abitudini dei nostri nonni, la necessità di non comprare. Non acquistare. Riparare, recuperare, aggiustare finché si può. Finché resta un solo pezzo di ricambio utile, un solo oggetto migliorabile e non sostituibile. Finché la quantità di oggetti posseduta si assesti al livello di quella necessaria ed inizi a stazionare intorno a quelle cifre, perché ad ogni novità non segue obbligatoriamente un consumo. Solo quando i beni di consumo diverranno beni di utilizzo e l'obsolescenza programmata farà posto alla sobrietà incondizionata, allora i pianeti che utilizzeremo torneranno ad esser pian piano due, e poi uno. Com'è uno solo è quello che abbiamo a disposizione. E così smetteremo di sentirci importanti solo perché possediamo gli oggetti ed inizieremo a considerarli per quello che sono. Beni utili al nostro servizio, ricavati dall'ingegno umano che non deve progredire a discapito degli uomini nelle fabbriche lontane dagli occhi del consumatore e dai luoghi di produzione e della Natura, che è il bene più prezioso che l'uomo e le altre specie possiedono e che è la più limitata delle risorse.

Difficilmente questo cambiamento potrà arrivare dalle multinazionali, che sarebbero danneggiate dal differente atteggiamento del cittadino non-più-consumatore. La rivoluzione culturale deve iniziare dal basso, dall'estenuante volontà dei singoli nel fare la propria parte per ridurre i consumi, riparare il riparabile, riciclare tutto il resto. Quando, domani, il televisore comprato da qualche mese inizia a fare i capricci cercate di farlo aggiustare, anche se il prezzo della riparazione si avvicina a quello del nuovo modello. Perché nell'immediato potrebbe anche non esserci una grande convenienza dal punto di vista monetario, ma a guadagnarci saranno l'ambiente e gli uomini coinvolti nell'impattante processo di produzione ex-novo. E poi dopodomani, quando l'economia e l'ecologia saranno finalmente considerate la stessa cosa, tutti quei beni riparati e non comprati avranno acquisito un plusvalore che andrà al di là del mero materialismo. Diverranno i simboli di un cambiamento radicale nella storia umana: l'era della sobrietà felice, dove le persone e la Natura contano più di una scatola di plastica dispensatrice di illusioni.

Fonte: http://www.vglobale.it