venerdì 11 luglio 2014

Datagate, spie Usa in Italia

Dal sequestro di Abu Omar a Gladio. Fino allo schianto di Longare, ai «centri di ascolto» e le telefonate intercettate dalla Nsa. Le interferenze dei servizi americani a casa nostra.

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L'indignazione, poi rientrata, di Angela Merkel per lo spionaggio americano in Germania è un gesto «teatrale» perché «non è vero che tra Paesi alleati non ci si spia». Esistono invece lo spionaggio e il controspionaggio. E anche l'Italia è a pieno titolo dentro il grande gioco. Parola di un esperto della materia, Edward Luttwak, che così si è espresso lo scorso anno, quando i giornali inglesi rivelarono che l'agenzia per la sicurezza Usa, la Nsa, intercettava le telefonate della cancelliera, del presidente francese François Hollande e di altri capi di Stato e di governo alleati.
COOPERAZIONE TRA INTELLIGENCE. Non stupisce se gli 007 della Cia, di altri servizi americani e stranieri scorrazzano liberamente nel nostro Paese, e spesso sono addirittura aiutati dai nostri agenti con i quali cooperano, come avvenuto nel 2003 quando l'imam egiziano Abu Omar venne rapito e torturato dai servizi statunitensi (con l'appoggio del Sismi), quindi portato via in volo dall'Italia attraverso la base di Aviano.
LA COMPLICITÀ ITALIANA. A conferma di questa presenza di barbe finte americane in Italia esiste il rapporto Combating Terrorism, redatto il 23 settembre 2013 dal Government Accountability Office, l'ufficio per la trasparenza dell'amministrazione Usa. Qui, come anticipato da Lettera43.it, si spiega tra l'altro che, nel solo 2012, per ben 11 volte il governo italiano ha fornito ampia collaborazione agli agenti segreti americani operanti nel nostro territorio per pedinamenti, indagini e intercettazioni ai danni di cittadini italiani incensurati e ignari di essere controllati dagli 007 della Casa Bianca.
Senza contare telefonate intercettate dalla Nsa (46 milioni solo da 10 dicembre 2012 all'8 gennaio 2013) di cui il governo Letta negò di essere a conoscenza.

Il rapimento di Abu Omar e la responsabilità dei servizi italiani

Il caso più clamoroso di blitz della Cia in Italia riguarda il rapimento di Abu Omar, imam della mosche milanese di viale Jenner. L'uomo, sospettato in Usa di terrorismo, venne prelevato dagli agenti Usa, picchiato, torturato e caricato su un aereo per gli Stati Uniti, con la complicità (riconosciuta in tribunale) dei vertici dei servizi italiani.
SEGRETO DI STATO. Un atto criminale, per la nostra legge, che però i vari governi italiani che si sono succeduti dal 2003 a oggi hanno sempre cercato di coprire apponendo il segreto di Stato alla vicenda: segno evidente di piena conoscenza dei fatti da parte di tutti i nostri premier.

Gli Usa e i sospetti sul sequestro di Aldo Moro e su Gladio

Nel suo libro I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia, Ferdinando Imposimato, all'epoca giudice istruttore per il sequestro di Ado Moro, racconta che, qualche anno dopo l'uccisione del presidente della Dc, durante un party all'ambasciata americana a Roma, venne avvicinato da un agente della Cia dal nome in codice Louis. Lo 007, ricorda Imposimato, «mi fu presentato da un funzionario italiano»: da quel momento, dice ancora l'ex magistrato,  nel corso delle indagini sul caso Moro «ogni tre o quattro giorni il misterioso yankee mi incontrava nella hall dell'hotel Cicerone» per avere notizie fresche sulle indagini e sul terrorismo in Italia.
«LA MORTE DEL LEADER DC? UN BENE». Finché, conclude, «un giorno Louis mi confidò: 'La morte di Moro è stata un bene per l'Italia e gli Stati Uniti'». Imposimato ricorda poi di aver stabilmente cooperato, anche per altre indagini, con un agente dell'Fbi infiltrato in Italia e chiamato Michael Jeweler.
Non va poi dimenticato che in quegli stessi anni, in Italia, operava l'organizzazione segreta Gladio, organizzata e supportata dalla Cia, creata per combattere il presunto rischio che l'Italia potesse cadere sotto il dominio dell'Unione Sovietica.

La centrale di spionaggio americana di Longare e gli altri centri di ascolto

Nel novembre 2008 un elicottero americano Black Hawk, partito da Aviano, si schiantò dopo un volo radente sulle rive del Piave, nel Trevigiano. Tra i militari Usa, si contarono sei morti e cinque feriti. Sul terreno, oltre ai corpi, si trovarono apparecchiature che, secondo alcuni investigatori italiani, non erano in dotazione a quel tipo di velivolo.
PRESSING SULLA MAGISTRATURA. Gli Usa, imbarazzati, chiesero che la magistratura italiana rinunciasse all'indagine sull'incidente. In quei giorni, tra inchieste dei pm e dei giornalisti, emerse che non lontano da quella zona, nella base Usa di Longare (Vicenza) chiamata Site Pluto c'era stata negli Anni 90 e 2000 (e forse c'è ancora) la centrale di ascolto e intercettazione dei servizi di informazione militare americano in Italia.
Ma Longare non è l'unica sede delle spie Usa: strutture «di ascolto» sono piazzate in diverse zone d'Italia, come in alcuni siti della Gallura, territorio del Nord della Sardegna.

Non solo statunitensi: in Italia anche i francesi e il Mossad

Ma ad agire sul nostro territorio non è stata solo l'intelligence a stelle e strisce.
Il 25 ottobre 2003 il sottomarino a propulsione nucleare classe Los Angeles battezzato Hartford (Ssn 768) all'uscita dalla sua base sarda nell'isola di Santo Stefano (arcipelago di La Maddalena) sbagliò le manovre, toccò duramente il fondale e strisciò sulle rocce riportando (si scoprì in seguito) danni gravissimi.
L'incidente venne tenuto a lungo nascosto dalle autorità americane e italiane. Fortunatamente dal reattore non vi furono alcuna fuoriuscita d'acqua contaminata e nessuna emissione di sostanze radioattive.
LA MINACCIA DELLE TESTE DI CUOIO. Tanto segreto venne poi spiegato da una fonte di intelligence italiana, la quale tempo dopo rivelò che l'Hartord era uscito con urgenza dalla sua tana perché i militari Usa avevano scoperto la presenza sull'isola di un commando formato da truppe speciali francesi, provenienti dalla vicina Corsica.
Non è chiaro quali fossero gli obiettivi delle teste di cuoio francesi, ma è certo che all'unico sottomarino Usa presente nella base era stato dato ordine di prendere il largo con urgenza, forse per dare un qualche tipo di segnale ai francesi, che sicuramente controllavano l'attività americana tramite i satelliti.
LA TRAGEDIA DI ARGO 16. Più grave e drammatica fu, nel 1973, la vicenda di Argo 16, un aereo da trasporto dell'Aeronautica militare italiana, precipitato nei pressi di Marghera. I quattro membri dell'equipaggio morirono nello schianto. Le indagini vennero bloccate ancora una volta dall'apposizione del segreto di Stato (che resta in vigore ancora adesso), in quanto emerse che l'apparecchio era stato utilizzato per le operazioni dell'organizzazione segreta Gladio, sostenuta dalla Cia.
ulle cause del disastro, sia l'allora comandante di Gladio, il generale Gerardo Serravalle, che la Commsione stragi del parlamento, sostennero che l'aereo sarebbe stato sabotato o direttamente fatto precipitare da agenti del Mossad, come avvertimento da parte del Governo israeliano nei confronti dell'Italia, ritenuta troppo morbida e quasi amica dei terroristi palestinesi.

Marco Mostallino

sabato 5 luglio 2014

Strage di Ustica. La Francia collabora? Speriamo sia la volta buona per l’accertamento dei fatti e della verità


WCENTER 0JKGBFTMBD imgemmevi150610194713_2 Emmevi photo Strani scherzi, combina la memoria. La notizia che dopo 34 anni e tante sollecitazioni lasciate arrogantemente cadere, la Francia ha deciso di collaborare perché sia fatta luce sulla strage del DC-9 Itavia che provocò la morte di 81 persone e che non si esclude più che l’aereo dell’Itavia sia stato abbattuto da due caccia francesi, mi è tornato in mente quanto ebbe a dire l’allora sottosegretario con delega alla famiglia, droga e servizio civile (governo Berlusconi), Carlo Giovanardi. Qualcuno potrà obiettare che ricordarsi quello che Giovanardi ha detto tre anni fa è sintomo forse di decadenza e senescenza. Ad ogni modo Giovanardi riteneva intollerabile “che si continuino a raccontare bugie su Ustica, ignorando quanto scritto dalla Cassazione che ha smontato l’ipotesi del missile e di una battaglia aerea”. Chiunque osava sostenere il contrario veniva bollato come autore di “intollerabili fantasie”.
Sorridere? Sorridiamo pure, ma gli scherzi della memoria continuano. Nel marzo del 2011. Il settimanale “l’Espresso” nella sua rubrica “riservato” pubblicava un trafiletto: “I familiari delle vittime sono avvertiti: rischierà una sonora querela chiunque sosterrà che il DC-9 dell’Italia fu abbattuto sui cieli di Ustica il 27 giugno del 1980 durante un combattimento aereo tra velivoli militari o da un missile, tirando in ballo depistaggi della nostra Aeronautica. Per il governo, che mette in campo i risultati di tutti i processi e di tutte le commissioni di esperti che hanno lavorato intorno alla tragedia, c’è una sola verità: a far esplodere l’aereo fu una bomba. E 31 anni dopo ha incaricato il sottosegretario Carlo Giovanardi di vigilare sul rispetto di questa versione, anche tramite l’Avvocatura dello Stato, onde tutelare l’onore dell’Aeronautica e dei suoi generali se qualche scettico dovesse tornare a ipotizzare loro responsabilità”.
A suo tempo vennero anche presentate interrogazioni parlamentari, per sapere quanto pubblicato da “L’Espresso” corrispondeva al vero; non hanno mai avuto risposta.
E dire che Rosario Priore, il magistrato che ha lungamente indagato sulla strage di Ustica nel libro “Intrigo internazionale”, scritto assieme a Giovanni Fasanella (Chiarelettere edizioni), certe cose le ha messe nero su bianco: “La strage di Ustica è un caso coperto dall’omertà internazionale, che è ancora più impenetrabile di quella di una semplice cosca mafiosa siciliana o di una ‘ndrina calabrese…L’ipotesi di un cedimento strutturale dell’aereo fu esclusa quasi subito dai periti. Quella di una bomba esplosa all’interno dell’aeromobile, nel vano della toilette, è stata sostenuta a lungo, e ancora oggi c’è chi ne è convinto. Ma è poco credibile, perché le parti principali di questo vano sono state ripescate e su di esse non c’era alcuna traccia di esplosione. No, questa ipotesi non è sostenibile, anche se i periti non hanno mai raggiunto l’unanimità dei pareri” (pag.135); e alla domanda: “Allo stato attuale, dunque, quella dell’aereo colpito da un missile è l’ipotesi più probabile?”, Priore risponde: “Sì, direi proprio di sì. Anche se ce n’è una quarta che ha un certo grado di attendibilità, quella della near collision, una quasi collisione con un altro aereo” (pag.136). E ancora: “I periti dell’aeronautica militare hanno sostenuto che l’aereo Itavia, quella sera, a quell’ora, in quello spazio, volasse ‘solo’, cioè non fosse stato avvicinato da altri velivoli, né civili né militari. E non è vero”. A pagina 144 poi aggiunge: “E’ evidente che il DC-9 fu abbattuto da uno o più aerei militari sicuramente indirizzati verso l’obiettivo da un’efficiente ‘guida caccia’, un potente sistema radar in grado di ‘vedere’ anche a centinaia di chilometri di distanza”. Sempre Priore indica abbastanza chiaramente nella Francia il paese su cui probabilmente grava la responsabilità per la strage.
Non foss’altro per non smarrirne la memoria è utile ripercorrere le fasi di questa tragedia impunita. La strage si consuma il 27 giugno 1980, alle 20.59 e 45 secondi. E’ l’ora in cui il DC-9 sigla India-Tago-India-Golf-India, scompare dagli schermi radar. Fino a quel momento nessun problema. Il decollo è avvenuto con due ore di ritardo, ma il volo procede tranquillo. Dai centri di controllo sentono l’equipaggio ridere e scherzare, raccontano barzellette. Poi un pilota, con un moto di sorpresa, esclama: “Gua…”. Non finisce la frase. Silenzio.
Perso ogni contatto. Silenzio. Come se l’aereo non ci sia più. Come se non ci sia mai stato. Ma quell’aereo c’era. Dov’è finito, con i suoi 77 passeggeri e i 4 dell’equipaggio? Cos’è successo, quella sera, alle 20.59 e 45 secondi? Sono in tanti a chiederselo. Sono in tanti a cercare una risposta. Una risposta che chi deve, non vuole, non può dare.
L’autopsia sui corpi restituiti dal mare, una quarantina appena, rivela che sono morti in seguito alle gravissime lesioni polmonari dovute a decompressione; alcuni corpi presentano lesioni traumatiche. Significa, dicono gli esperti, che sono morti quando la cabina pressurizzata dell’aereo si è spaccata, in aria; e l’aereo poi è caduto. Ma cos’è successo? Si parla di incidente strutturale. Di esplosione a bordo. Di un possibile attentato. Si nominano commissioni d’inchiesta, perizie e contro-perizie a non finire, ipotesi e – anche – depistaggi. C’è chi perfino sostiene che il DC-9 abbia galleggiato per ore in superficie; poi sbuca da chissà dove un sommergibile inglese, e squadre di guastatori minano il relitto e lo fanno inabissare; si ipotizza un coinvolgimento di Israele: un’operazione “sporca” contro un aereo francese con materiale nucleare diretto all’Irak di Saddam, e il DC-9 viene colpito per errore. Si parla di responsabilità degli americani, dei francesi, dei sovietici; si parla di un fallito attentato contro Gheddafi…si parla di una bomba a bordo: un attentato collegato alla strage del 2 agosto alla stazione di Bologna, per punire la politica estera italiana di sostegno a Malta, contrastata dalla Libia. Per quel che riguarda la teoria della bomba si arriva a ricostruzioni macabre: l’ordigno nascosto nella toilette, che però viene recuperata intatta, e si ipotizza che in quel momento la toilette fosse occupata, il corpo di qualcuno avrebbe fatto da schermo.
La commissione parlamentare presieduta da senatore Libero Gualtieri usa parole di fuoco; descrive uno scenario fatto di “menzogne, reticenze, deviazioni”. Il reperto principale, i resti del DC-9 sono in fondo al Tirreno, a una profondità di 3700 metri… I nastri con le registrazioni dei centri radar sono negati, distrutti, nascosti. I testimoni sono reticenti, negano a volte l’evidenza; e nessun centro radar quella notte sembra aver funzionato come doveva… Ci vuole tutta la pazienza certosina dei magistrati per recuperare dati e informazioni, decodificare i tracciati, dare un senso alle mezze frasi…
Un po’ alla volta il mosaico si compone. Quella sera, intanto, c’erano una quantità di aerei in volo, assieme al DC-9: aerei italiani che improvvisamente decollano, e che altrettanto improvvisamente sono fatti rientrare; ma ci sono anche altri aerei: forse americani; forse, più probabilmente, francesi. Che ci fanno? Esercitazioni? O devono intercettare qualcuno? Chi insegue e chi è inseguito? La Francia non ha mai risposto alle rogatorie italiane. Da oltralpe si arriva all’impudenza di sostenere che la base militare di Solenzara, in Corsica, alle cinque del pomeriggio è chiusa. Come un ministero o un ufficio postale. Peccato che a smentirli sia un generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, braccio destro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa,: “Ero in Corsica a Solenzara in vacanza con la mia famiglia e mio fratello. Avevamo scelto un albergo vicino all’aeroporto militare. Affacciandomi dal balcone potevo vedere sulle piste i Mirage francesi e i Phantom della NATO…La sera del 27 giugno non siamo riusciti a chiudere occhio fin dopo la mezzanotte tanto era il frastuono dovuto al via vai dei cacciabombardieri…”.
Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, dopo aver perorato per anni la causa della bomba, muta opinione: ad abbattere il DC-9, sostiene, sono stati i francesi.
Torniamo a Priore. Racconta che la Francia gli ha sempre chiuso le porte in faccia: “Ci fu opposta una chiusura totale. In tutte le epoche e da tutti i governi. Sia Valéry Giscard d’Estaing sia François Mitterrand si chiusero a riccio, persistendo nella politica di tutela assoluta dei segreti di Stato, a prescindere dal colore dei governi. Qualche indicazione preziosa la ricavai invece da un lungo colloquio con Alexandre de Marenches, il direttore dello Sdece, il servizio segreto esterno francese all’epoca di Ustica. (…) Mi disse che le mie ricerche in Francia non avrebbero sortito alcun effetto, perché se quei servizi avessero tentato un’operazione contro Gheddafi, non avrebbero lasciato alcuna prova. Però ci tenne anche a precisare che, secondo lui, il leader libico doveva essere messo nella condizione di non nuocere più, e farlo era il dovere di più governi”.
Priore dice di aver ricavato, da quel colloquio, la sensazione che “avesse voluto dirmi la verità su Ustica, ma senza che io la potessi utilizzare sul piano giudiziario. Perché era certissimo che non avrei mai potuto trovare prove nelle carte dello Sdece. Comunque, una volta chiusa l’inchiesta, sono emersi frammenti di verità. Abbiamo già detto delle ammissioni di Cossiga. E poi la notizia, molto attendibile, che l’operazione partì dalla portaerei francese Clemenceau, che si trovava a sud della Corsica e aveva la copertura radar della base a terra di Solenzara”.
Ora la notizia che il sostituto procuratore aggiunto Maria Monteleone e il sostituto Erminio Amelio avrebbero raccolto elementi sufficienti che dimostrerebbero che quella notte in volo c’erano almeno un paio di caccia francesi; che hanno avuto l’autorizzazione per interrogare una decina di ex militari della base di Solenzara, e addirittura che Parigi sarebbe disposta ad aprire gli archivi della Difesa per ricostruire i movimenti di cacciabombardieri e unità navali nel mar Tirreno la notte della strage. Piccoli, importanti passi verso l’accertamento della verità?

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