martedì 27 dicembre 2011

Apple, multa italiana per le garanzie

L'AGCM sanziona il gigante di Cupertino per pratiche commerciali scorrette. Un totale di 900mila euro per aver offerto garanzie dalla durata inferiore a quelle previste dalla normativa tricolore

Roma - Garanzia di conformità del venditore: antitrust sanziona il gruppo Apple per complessivi 900mila euro: si intitola così un comunicato stampa diramato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a condannare Cupertino e certe divisioni afferenti per pratiche commerciali scorrette.

Si è così conclusa l'inchiesta voluta dal Centro Tutela Consumatori Utenti (CTCU), per aprire il procedimento istruttorio nei confronti di rivenditori come Comet Spa, Apple Retail Italia Srl, Apple Italia Srl e Apple Sales International. Stando alle accuse, la Mela offrirebbe per i propri prodotti una garanzia limitata ad un anno, durata che non corrisponde alla normativa italiana che ne prevede almeno due.

L'antitrust del Belpaese ha ora stabilito che le tre società del gruppo - Apple Sales International, Apple Italia Srl e Apple Retail Italia - hanno messo in atto due distinte pratiche commerciali scorrette.

La prima: "presso i propri punti vendita e/o sui siti Internet apple.com e store.apple.com, sia al momento dell'acquisto che al momento della richiesta di assistenza, non informavano in modo adeguato i consumatori sui diritti di assistenza gratuita biennale previsti dal Codice del Consumo, ostacolando l'esercizio degli stessi e limitandosi a riconoscere la garanzia convenzionale del produttore di 1 anno".

La seconda: "le informazioni date su natura, contenuto e durata dei servizi di assistenza aggiuntivi a pagamento AppleCare Protection Plan, unite ai mancati chiarimenti sull'esistenza della garanzia legale biennale, erano tali da indurre i consumatori a sottoscrivere un contratto aggiuntivo quando la copertura del servizio a pagamento si sovrappone in parte alla garanzia legale gratuita prevista dal Codice del Consumo".

Le sanzioni pecuniarie sono dunque state fissate a 400mila euro per la prima pratica e 500mila per la seconda. Le società dovranno pubblicare una nota informativa sul sito apple.com. Mentre Apple Sales International dovrà adeguare entro 90 giorni le confezioni di vendita dei servizi AppleCare Protection Plan, "inserendo l'indicazione sulla esistenza e durata biennale della garanzia di conformità".

Mauro Vecchio

Fonte: http://punto-informatico.it/

Commento di Oliviero Mannucci: Eh si! Nonostante la mia ammirazione per Steve Jobs, che dal nulla è riuscito a fare quello che ha fatto, ho rinunciato decisamente all'acquisto di tutti i prodotti APPLE. Un pò per il prezzo esagerato che hanno quasi tutti i suoi prodotti, sia perchè parlando con un commesso di un Apple Store avevo come l'impressione che quello che mi stava dicendo non fosse del tutto corretto. Anche a me mi è stato detto che la garanzia era solo di un anno, quando sapevo che la legge italiana ne prevedeva ben 2. Visto così ho rinunciato sia all'acquisto sia di un e-pad che di un portatile e ho ripiegato con piena soddisfazione su altri prodotti ASUS e ACER spendendo molto meno, avendo i 2 anni di garanzia che mi spettano ( anzi su uno acquistato a San Marino ho garanzia Italia 2 + 1 anno), raggiungendo lo stesso scopo prefissatomi e risparmiando moltissimo. Cara APPLE è ora che abbassiate la cresta!

martedì 13 dicembre 2011

Italia radioattiva e Scorie nucleari “Chi sa trema, ma in silenzio”

Terza pagina | di Redazione Il Fatto Quotidiano | 7 dicembre 2011

Commenta (41)

78
Più informazioni su: , , , ,

Italia radioattiva e Scorie nucleari
“Chi sa trema, ma in silenzio”

Dai depositi di scorie ereditati dall'epoca dell'atomo, ai materiali di scarto medicali, fino ai rischi connessi alle trivellazioni per la costruzione del famigerato corridoio 5 della Tav. La lunga serie di rischi connessi al nucleare, raccontata in un libro da Andrea Bertaglio e Maurizio Pallante. Ne anticipiamo alcuni brani

Nonostante i referendum dello scorso giugno abbiano ribadito l’indisposizione degli italiani ad avere a che fare con l’energia nucleare, sono ancora molti i rischi e i problemi legati alla radioattività: dai rifiuti radioattivi di Saluggia, nel vercellese, alle testate atomiche nelle basi americane di Ghedi e Aviano; dagli effetti del poligono del Salto di Quirra, in Sardegna, all’uranio nelle montagne della Val di Susa. Solo alcuni sono legati alle vecchie centrali atomiche, ma la maggior parte di essi restano taciuti. Lo rivela un libro-inchiesta in uscita oggi, “Scorie radioattive. Chi sa trema, ma in silenzio” (Aliberti editore), in cui oltre alla denuncia si cerca di capire l’origine di queste problematiche. Che, secondo gli autori Andrea Bertaglio e Maurizio Pallante, è riconducibile all’ossessione per una crescita illimitata dei consumi e dell’economia.

Un’idea condivisa da uno degli esperti intervistati nel libro, l’ingegnere nucleare Massimo Zucchetti, docente di Protezione dalle radiazioni al Politecnico di Torino e Research affiliate presso il prestigioso MIT, Massachusetts Institute of Technology di Boston. Per Zucchetti, infatti, “anche Fukushima ci ha fatto capire che sarebbe meglio fare a meno di aver bisogno di tutta questa energia, rivedendo quindi il nostro modello di sviluppo”. “Ci sono molte persone che affermano che delle nuove energie sostituiranno il nucleare e ci consentiranno di farne a meno. Secondo me non è così che si dovrebbe ragionare”, afferma il professore: “Bisognerebbe ragionare su come muoversi verso un sistema in cui non abbiamo più bisogno di tutta questa energia”. Che, per essere prodotta in quantità sempre più ingenti, può portare a tragedie immani.

“Noi viviamo immersi nella radioattività naturale, e siamo geneticamente predisposti per sopportare basse dosi di radioattività”, ricorda Zucchetti: “Ma non abbiamo organi di senso che ci consentano di capire se le radiazioni ci sono o meno”. Basti pensare che “in un campo a livello di un incidente come quello di Chernobyl, in cui una persona entra nel nocciolo di un reattore scoperto, la quantità di calore su tutto il corpo è pari a 1 watt, che è un decimo di una lampadina fioca”. Le radiazioni sono quindi in grado di fare male in maniera molto silenziosa, e l’unico modo che si ha di percepirle attraverso il nostro organismo “viene dopo, quando si mostrano i loro effetti, ed è troppo tardi”.

Fra i vari problemi legati alla radioattività, c’è che “l’Italia è punteggiata di decine di siti dove sono conservati con grande fiducia materiali radioattivi di vario tipo, provenienti dalla precedente esperienza nucleare, ma anche dall’uso medicale e industriale delle radiazioni”, avverte il professore: “Luoghi in cui chiunque potrebbe fare dei blitz senza grandi problemi, spesso in zone del tutto inopportune”. E questo sempre perché in Italia “non esiste un luogo in cui tenere i materiali radioattivi in maniera controllata e conosciuta, ma è tutto lasciato così, alla speranza che non sorgano problemi”.

In effetti, molte persone sono contrarie all’atomo proprio perché ritengono il nostro Paese inaffidabile nella gestione di questioni così delicate. Timori fondati? Per Massimo Zucchetti “più che altro si tratta di dati di fatto, soprattutto se vediamo come è stata gestita la precedente esperienza nucleare”. “Alcuni colleghi nuclearisti in certe parti del mondo mi hanno confidato di essere molto contenti che il nucleare in Italia non sia stato ripreso, perché sarebbe stato un esempio pernicioso per il nucleare in tutto il resto del mondo”. Chiosa l’ingegnere: “In effetti molto probabilmente ci avremmo messo il triplo del tempo per costruire un impianto, non sarebbe stato mai finito e ne sarebbero successe di tutti i colori”.

“Ritengo però che non ci si debba arrendere a questo degrado morale e anche tecnico a cui siamo stati soggetti in questi ultimi vent’anni”, afferma lo scienziato: “Noi siamo benissimo in grado di fare delle opere complesse, purché servano. Non abbiamo bisogno né del ponte sullo Stretto, né dell’alta velocità, e neppure degli impianti nucleari, in realtà. Ma magari di altre cose altrettanto pregiate, perché no? Ribelliamoci al principio per cui dovremmo essere incapaci a priori. Qualcosa siamo più che in grado di farlo. In fondo, parlando del mio campo, Enrico Fermi era italiano e ha vinto il Nobel per la fisica”.

Massimo Zucchetti è anche consulente gratuito della comunità montana della Valle di Susa e, sempre in termini di radioattività, da anni si occupa dei rischi che corre la popolazione valsusina nel caso in cui si dovesse veramente costruire il famigerato Corridoio 5. “La Valle di Susa è costellata di piccole formazioni sia di amianto che di uranio”, fa presente Zucchetti: “Fino a che questi materiali pericolosi restano nel ventre della montagna va bene; quando si portano fuori, dovendo scavare questi tunnel, da un lato possono provocare danni alla salute dei lavoratori, che respirerebbero gas radioattivi emessi dalla roccia, dall’altro c’è il fatto che tutti questi milioni di tonnellate di polveri verrebbero all’esterno”.

I potenziali rischi per la salute, in Valle di Susa, non giungono solo dalla montagna, ma anche dai gas lacrimogeni abbondantemente utilizzati dalla polizia negli scontri di Chiomonte dello scorso 3 luglio. “Non solo il 3 luglio”, puntualizza Zucchetti: “Abbiamo calcolato che questi gas sono stati usati almeno una ventina di volte, fra manifestazioni e assedi di vario tipo”. “I lacrimogeni, oltre agli effetti fastidiosi che hanno nell’immediato, hanno tutta una serie di effetti collaterali, che possono portare a insufficienza respiratoria, reazioni cutanee o danni agli organi interni”.

Occupandosi di radiazioni e di agenti genotossici, il professor Zucchetti ha anche scoperto che “questo gas Cs ha delle potenzialità di tipo cheratogeno e mutageno, cancerogeno insomma”, anche se “non con lo stesso meccanismo delle radiazioni”. Ciò che preoccupa maggiormente, però, è che “questi gas sono stati lanciati su bambini, donne incinte, anziani, persone comunque deboli o con la possibilità di vedere il proprio futuro compromesso”. Un fatto che, “per un buco che non c’è, per un cantiere infinito, è una cosa davvero inaccettabile”.

mercoledì 7 dicembre 2011

Dissennato nuovo aumento dei carburanti


Il governo rinnova la folle politica di utilizzare la benzina come salvadanaio. Stipendi fermi, pensioni congelate, disoccupazione galoppante ed ora anche inflazione alle stelle.

Evidentemente il ministro creativo Tremonti deve aver lasciato il borsellino vuoto se il professor Monti ha reso immediatamente esecutivo l’aumento delle accise sui carburanti.

Il decreto appena varato prevede che “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le seguenti aliquote di accisa di cui all’Allegato I del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, approvato con il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni, sono fissate nelle misure sottoindicate:

a) benzina e benzina con piombo: euro 704,20 per mille litri;

b) gasolio usato come carburante: euro 593,20 per mille litri;

c) gas di petrolio liquefatti usati come carburante: euro 267,77 per mille chilogrammi;

d) gas naturale per autotrazione: euro 0,00331per metro cubo”.

Sempre secondo il testo del provvedimento “a decorrere dal 1° gennaio 2013, l’aliquota di accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo nonché l’aliquota di accisa sul gasolio usato come carburante, di cui all’allegato I del testo unico richiamato nel comma 1, sono fissate, rispettivamente, ad euro 704,70 per mille litri e ad euro 593,70 per mille litri”.

Per il Codacons l’aumento ”determinerà a danno degli automobilisti un aggravio di spesa pari a più 130 euro annui per le auto a benzina, e più 150 euro annui per quelle a gasolio”.

Ma il problema non deve essere circoscritto al solo prezzo del carburante. L’intero sistema distributivo italiano è gestito da camiom, che per l’appunto camminano a gasolio.

Ogni merce, dai bottoni al formaggio, da domani costerà di più. Ma questo è un governo di professori. Se fosse stato composto da massaie di certo si sarebbe trovata un’altra soluzione per far cassa.

Fonte: http://www.inviatospeciale.com

Commento di Oliviero Mannucci: Egregio dott. Monti, se queste sono le misure per salvare l'Italia poveri noi! Ora mi domando: Chi salverà gli italiani?!

lunedì 7 novembre 2011

Scorie nucleari all'Eurex di Saluggia, «situazione risolta solo in parte». Quel disastro sfiorato nel 2000

Mentre a Genova si contano i danni dell'alluvione in Piemonte ci si prepara ad una sempre più probabile esondazione dei fiumi. Le piogge stanno ingrossando il livello del Po e si prevede un'ondata di piena potrebbe interessare il tratto di fiume compreso tra la Dora Baltea e il Ticino. E il ricordo torna all'autunno del 2000 quando la regione fu devastata da un'alluvione. Allora si evitò per poco persino l'incidente nucleare. L'acqua infatti arrivò nel deposito di scorie nucleari dell'Eurex di Saluggia dove sono tuttora stoccati 230 metri cubi di rifiuti radioattivi allo stato liquido in bidoni. Per fortuna non ci fu alcuna contaminazione ma le polemiche sulla sicurezza dell'impianto di stoccaggio furono durissime.

Dopo undici anni la situazione è stata risolta solo in parte. «Al momento - dice Giuseppe Onufrio, direttore gestionale di Greenpeace Italia - non c'è un rischio immediato. Dopo l'alluvione del 2000 sono stati fatti dei lavori per mettere in sicurezza l'impianto che ora sono sicuramente più protetti da un'eventuale alluvione». Nel 2006 la Sogin (società di Stato incaricata della dismissione degli impianti nucleari in Italia chiusi dopo il referendum del 1987) ha realizzato un nuovo parco serbatoi per i rifiuti liquidi a più alta attività. Gli stessi sono stati trasferiti nel 2008.

Per stare completamente tranquilli bisognerebbe tuttavia solidificarli. Restando allo stato liquido, le scorie continuano a rappresentare una potenziale bomba ecologica perché possono contaminare più facilmente la terra e l'acqua. Fin dal 2000, dopo l'incidente dell'alluvione, il ministero dell'ambiente aveva imposto la solidificazione. «Lo smaltimento ideale - spiega Onufrio - dovrebbe avvenire attraverso un processo di vetrificazione». Il processo è però decisamente complicato perché si può fare solo in Francia e trasportare 230 metri cubi è decisamente complicato. E così si è optato per la cementificazione. A marzo di quest'anno è stato avviato il bando di gara per la realizzazione dell'Impianto Cemex che permetterà la cementazione e il successivo stoccaggio nell'annesso deposito, dei rifiuti liquidi radioattivi.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com

La mappa dei morti sul lavoro

Visualizza La mappa dei morti sul lavoro in una mappa di dimensioni maggiori

Parte il monitoraggio di Rassegna.it, una cartina interattiva dell'Italia con tutte le vittime degli incidenti, colpo d'occhio impressionante e in costante aggiornamento. Di sicurezza sul lavoro non si parla mai abbastanza. Anzi, spesso non se parla affatto. Se escludiamo le stragi come quella della "Thyssen", giudicata in un sondaggio del 2007 come "la notizia più importante dell'anno", le singole morti trovano spazio a fatica nei notiziari. La decisione di creare una mappa nasce da qui: denunciare plasticamente quello che avviene ogni giorno nei luoghi di lavoro, per dare un minimo di dignità, nel nostro piccolo, a tutte queste vittime e alle loro famiglie.

La mappa che non avremmo mai voluto pubblicare cresce come il peggiore dei tumori. Il peggiore dei tumori è quello che nessuno prova a curare. Morire di lavoro è il male incurabile degli italiani. La cartina interattiva (qui sopra) prende in considerazione gli infortuni mortali a partire da settembre 2010. Difficilmente sarà mai completa. Per questo chiediamo ai nostri lettori di aiutarci, segnalandoci eventuali errori e scusandoci per le omissioni. Chi volesse contribuire, può farlo scrivendoci a comunicati@rassegna.it con la sola accortezza di citare la fonte.

Fonte: http://www.rassegna.it

domenica 6 novembre 2011

Undici Undici Duemilaundici, il destino d’Italia tra le catastrofi della storia

Undici Undici Duemilaundici e il destino d’Italia dopo le tragedie del terremoto di L’Aquila e delle bombe nucleari d’acqua sganciate dalla Natura. Progetti europei per mitigare il rischio sismico e idrogeologico: i terremoti sono tra gli eventi naturali cui il territorio europeo è più esposto. Negli ultimi 35 anni (1976-2010) il 20% dei terremoti catastrofici avvenuti nel nostro pianeta si sono verificati in Europa, producendo circa 62.000 morti, ossia il 7% delle vittime per eventi sismici nell’intero pianeta, e danni per circa 111.000 milioni di euro. Professor Antonio Moretti dell’Università di L’Aquila:“Il 6 aprile 2009 il blocco del Gran Sasso si è sollevato di qualche decina di centimetri rispetto alla valle dell’Aquila che si è invece abbassata. Abbiamo una quantità di dati enorme, pubblicata su molte riviste e raccolte in un eccellente volume sulla microzonazione a cura della Protezione Civile. Sappiamo come reagiscono determinate costruzioni e quali sono gli effetti di sito che possono aumentare il danno e le vittime; conosciamo le tecniche edilizie per minimizzare i danni; speriamo che se ne possa tenere conto prima del prossimo disastro”. Terremoti, tsunami, bombe nucleari d’acqua a focalizzazione tropicale, scenari di devastazione, di gestione permanente dell’emergenza, di sopravvivenza e di cultura sapienziale del territorio. La degradazione ambientale secondo gli esperti della Treccani:“La dimensione del problema è particolarmente rilevante in Italia, dove dal 1918 al 1994 sono stati registrati rispettivamente oltre 17.000 e oltre 7000 eventi franosi e alluvionali calamitosi, i quali nell'ultimo ventennio del Novecento hanno provocato danni al patrimonio stimati in 30.000 miliardi di lire e 645 decessi. Sono 3671 i comuni a rischio molto elevato e a rischio elevato (45,3% del totale dei comuni italiani)”. Tutto pronto per l’Agu Fall Meeting di San Francisco, 5-9 dicembre 2011. Un modo per ridurre la vulnerabilità della popolazione concentrata in aree urbane, è l’utilizzazione di metodologie di mitigazione dei rischi in tempo reale. Come l’early warning sismico-vulcanico-meteo e l’uso di procedure operative basate su previsioni a medio e breve termine che però sono caratterizzati da livelli molto bassi di probabilità assoluta.
Undici Undici Duemilaundici, il destino d’Italia tra le catastrofi della storia

“Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi”(Albert Einstein). A 32 mesi dal catastrofico terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009 (ore 3:32 am; Mw=6.3; 309 morti; 1600 feriti) l’unica lezione finora impartita da quel drammatico evento non sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli effetti delle catastrofi naturali come avviene in tutti i Paesi civili del mondo. Le nostre città, infatti, sono molto esposte alle tragedie naturali. Dopo i disastrosi terremoti di Haiti, Cile, Nuova Zelanda, India e Giappone con l’ecatombe dell’11 marzo 2011 e dopo le bombe “nucleari” d’acqua sganciate sull’Italia e sul mondo (dalla Natura e non dall’uomo fino a prova contraria) possiamo e dobbiamo immediatamente fare qualcosa di concreto, sulla base dei rapporti e dei progetti scientifici e tecnologici di pubblico dominio (che peraltro vengono illustrati all’Agu Fall Meeting di San Francisco, 5-9 dicembre 2011) invece di perdersi in chiacchiere inutili. Il prestigioso congresso internazionale delle scienze della Terra, ogni anno cerca di chiarire molti quesiti interessanti sul futuro della Terra e di un’umanità concentrazionaria che ha abbandonato il sogno della conquista dello spazio esterno e le campagne dei nostri antenati, per vivere nelle megalopoli più esposte del pianeta! Si danno convegno negli Stati Uniti oltre 16mila ricercatori di tutto il mondo che presentano i loro lavori in centinaia di sezioni scientifiche per illustrare lo stato dell’arte su cambiamenti climatici, meteo spaziale (interazione Sole-Terra, attenzione ai futuri megaflares “X” in grado di devastare la Terra), planetologia, sismologia, vulcanismo, campo magnetico terrestre, oceani e molto altro ancora. L’American Geophysical Union Fall Meeting 2011 (www.agu.org/meetings/) al Moscone Convention Center di San Francisco (California, Usa) vedrà la partecipazione di scienziati e ricercatori italiani. Questi studi vengono letti da chi di dovere? Annus horribilis il 2011 sul fronte delle catastrofi naturali. L’Undici Undici Duemilaundici, magari alle ore 11, che cosa ci riserva? Siamo davvero convinti di poter sfruttare questo mondo a nostro piacimento senza rispettare le regole della Natura? Dobbiamo rimanere impassibili in attesa della fine? Siamo sette miliardi di persone sulla Terra, per la prima volta in assoluto nella storia dell’umanità, ma le grandi concentrazioni urbane sul pianeta Terra, in particolare lungo le coste, espongono gli abitanti a grandi rischi. La tragedia ligure e lo tsunami giapponese dell’11 marzo 2011, hanno impartito una dura lezione ma non si è ancora compresa la morale della storia. Quasi quasi, scherzi a parte, è il caso di lanciare un SOS Interplanetario, prima che sia troppo tardi. Prima che i pifferai magici in servizio permanente effettivo nella politica, ci conducano alla perdizione. Le gravi catastrofi naturali reclamano un cambio di mentalità che obbliga ciascuno di noi ad abbandonare la logica finora seguita per promuovere il rispetto della Creazione che ci è stata affidata. Se l’Italia nel mondo rischia quel disastro (politico, culturale, morale, economico, tecnologico) cui nostro malgrado siamo costretti ad assistere al cinema, in Tv e su Internet, non solo per i fallimenti combinati dai malfattori, dai faccendieri amorali e dai guerrafondai, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono senza reagire, allora bisogna capire che la responsabilità diretta delle future tragedie naturali è esclusivamente delle persone oneste che stanno lì a guardare, non intervengono e poi si lamentano di lutti e tragedie apparentemente incredibili. Con un bel bacio dell’addio al contegno, alla dignità, alla compostezza, alla laboriosità che caratterizza invece il glorioso popolo giapponese di fronte a immani tragedie come quella dell’11 marzo. I giapponesi conservano la propria dignità senza strillare al vento e immediatamente dopo le catastrofi ricostruiscono, meglio di prima, quanto distrutto dalla Natura. Abbiamo imparato la lezione? Perché in Italia e in Europa le leggi già esistono e vanno fatte rispettare, senza più condoni, senza più compromessi con palazzinari e faccendieri bipartisan di turno. Sulla base dell’analisi dei dati geodetici sull’Appennino centro settentrionale, pre e post-terremoto aquilano del 6 aprile 2009, cosa possiamo dire con certezza scientifica? Quali sono i contributi scientifici sullo status geologico, tettonico e sismogenetico d’Abruzzo? Cosa si augura possa fare un giorno la Protezione Civile per prevenire le conseguenze di un terremoto distruttivo sugli Appennini? Quali sono le prospettive per “azzeccare” in Italia una futura previsione sismica? Le informazioni riportate nel documento DISS elaborato dall’Ingv (Basili et alii, 2008, Tectonophysics, 453) possono individuare automaticamente i siti dove si verificheranno i prossimi terremoti forti? Considerata l’importanza di avere una conoscenza approfondita e completa su un problema di altissimo impatto sociale come la difesa dai terremoti, cosa è urgente fare subito? Per il professor Antonio Moretti dell’Università L’Aquila “è un tema molto difficile quello che si sta affrontando. I terremoti non si predicono, come non si predice l’assenza di danni. È bene conoscere il territorio, geograficamente, e le “proprie” faglie, geologicamente. E sapere quali sono i rischi che si corrono a rimanere e/o non rimanere in casa durante un evento sismico di lungo periodo. È bene costruire correttamente le case, e non costruirle in zone a rischio. Geologi e ingegneri dovrebbero lavorare assieme. Di fatto, lavorano i palazzinari nelle ricostruzioni del terremoto. Nulla si investe sistematicamente in conoscenza e prevenzione”. Sulla base dell’analisi dei dati geodetici sull’Appennino centro-settentrionale, pre- e post-terremoto aquilano del 6 aprile 2009, cosa possiamo dire con certezza scientifica? “La geodesia studia la forma della superficie della Terra. Fortunatamente oggi non dobbiamo più andare in giro con stadi e teodoliti, e nemmeno con il laser, perché dal satellite possiamo avere rilevamenti precisi. La tecnica che più interessa per la sismotettonica, cioè le deformazioni della crosta legate ai terremoti, è l’interferometria laser da satellite. In pratica si sovrappongono due immagini prese dallo spazio e rilevate in periodi diversi, ottenendo informazioni assolutamente accurate, fino al centimetro od addirittura al millimetro, delle variazioni di forma avvenute durante un certo intervallo di tempo. Con questa tecnica (le immagini sono ben note) si è potuto vedere che in conseguenza del terremoto, o meglio del movimento lungo il piano di faglia che lo ha generato, il blocco del Gran Sasso si è sollevato di qualche decina di centimetri rispetto alla valle dell’Aquila, che si è invece abbassata. Moltiplicando quei decimetri per migliaia di terremoti, si ottiene da una parte il sollevamento di una catena montuosa (il Gran Sasso appunto) e dall’altra un grosso buco (il “graben” o fossa dell’Aquila) riempito nel corso di centinaia di migliaia di anni da alluvioni, da un lago, da detriti ecc. fino a formare la pianura dell’Aterno. Fin qui niente che non sapevamo”. L’osservazione sistematica e continua delle deformazioni lente del suolo potrebbe segnalare l’avvicinarsi di un nuovo terremoto devastante in Italia? “In effetti, nella saggezza popolare, tra i fenomeni considerati precursori c’è anche la variazione improvvisa ed ingiustificata della portata delle sorgenti, che possono sia aumentare che seccarsi nella fase di deformazione lenta che precede la rottura sismica”. Cosa possiamo fare? “I satelliti ci sono, la tecnologia è avanzata e disponibile, manca solo qualcuno che usi queste immagini per il monitoraggio sistematico e continuo del territorio italiano.
Come dire che la scienza è disponibile, i soldi per i ricercatori no!”. Quali sono i contributi scientifici sullo status geologico, tettonico e sismogenetico d’Abruzzo? “Abbiamo raccolto una quantità di dati enorme, pubblicata su molte riviste e raccolte in un eccellente volume sulla microzonazione a cura della Protezione Civile. Sappiamo come reagiscono determinate costruzioni e quali sono gli effetti di sito che possono aumentare il danno e le vittime; conosciamo le tecniche edilizie per minimizzare i danni; speriamo che se ne possa tenere conto prima del prossimo disastro”. Cosa si augura possa fare un giorno la Protezione Civile per prevenire le conseguenze di un terremoto distruttivo sugli Appennini? “Chiariamo subito un punto: la Protezione Civile deve fare il suo mestiere, e lo ha fatto benissimo in occasione del terremoto del 6 aprile 2009. Dopo un’ora i mezzi di soccorso erano già arrivati da Roma, il che vuole dire che la macchina si è attivata in meno di 10 minuti. Ricordo che in Irpinia i primi soccorsi e l’esercito sono partiti dopo due giorni. Tuttavia la Protezione Civile non può, e non deve, fare il lavoro sporco che il sistema politico non riesce a fare per incapacità generalizzata, ne può fare quella ricerca che è compito della classe scientifica”. Quali sono le prospettive per “azzeccare” in Italia una futura previsione sismica? Le informazioni riportate nel documento DISS elaborato dall’Ingv (Basili et alii, 2008, Tectonophysics, 453) possono individuare automaticamente i siti dove si verificheranno i prossimi terremoti forti? Considerata l’importanza di avere una conoscenza approfondita e completa su un problema di altissimo impatto sociale come la difesa dai terremoti, cosa è urgente fare subito? “Conosciamo molto bene le strutture tettoniche attive della nostra Penisola, abbiamo a disposizione la storia sismica più lunga e meglio conosciuta del mondo (oltre 2000 anni), conosciamo bene i tempi di ricorrenza dei grandi terremoti nelle diverse aree, abbiamo la migliore rete sismica del mondo (una volta tanto, grazie ad Enzo Boschi!), i migliori ricercatori e le tecnologie necessarie al controllo e monitoraggio delle grandi strutture: le deformazioni cui si accennava prima, il radon (quello serio!) e molte altre. Come al solito, manca il buonsenso e la volontà politica. Se nella famosa riunione della Commissione Grandi Rischi si fosse deciso di dare l’allarme ed allertare la popolazione, ed il terremoto non fosse arrivato, ora gli stessi sarebbero inquisiti per procurato allarme. Non si può scaricare sulla classe tecnica e scientifica l’incapacità e la mancanza di responsabilità civile della classe dirigente, e non faccio distinzioni di parte politica”. Insomma, viviamo in un Paese a forte rischio idrogeologico, in città e villaggi esposti a scenari improvvisi e devastanti. Come leggiamo sulla Treccani, la degradazione ambientale è “dovuta principalmente all’attività erosiva delle acque superficiali, in contesti geologici naturalmente predisposti (rocce scarsamente coerenti), o intensamente denudati per la distruzione del ricoprimento boschivo. Può essere prevenuto con opere di imbrigliamento dei deflussi, di consolidamento dei terreni, di rimboschimento e di razionalizzazione delle pratiche agricole”. Sono noti i fattori di rischio. “Rientrano nell’ambito dei fenomeni che alterano, spesso in modo catastrofico, l’equilibrio geomorfologico dei territori, l’erosione idrica diffusa e profonda (frane), le alluvioni, l’erosione marina (arretramento dei litorali), la subsidenza indotta dalle attività antropiche, e le valanghe, ovvero tutti quei fenomeni per combattere gli effetti dei quali si richiedono interventi di difesa del suolo finalizzati alla previsione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico. La dimensione del problema è particolarmente rilevante in Italia, dove dal 1918 al 1994 sono stati registrati rispettivamente oltre 17.000 e oltre 7000 eventi franosi e alluvionali calamitosi, i quali nell’ultimo ventennio del Novecento hanno provocato danni al patrimonio stimati in 30.000 miliardi di lire e 645 decessi; la tendenza all’aumento degli eventi idrogeologici catastrofici, fatta registrare negli ultimi anni, si può mettere in relazione con pratiche di gestione del territorio che hanno privilegiato l’occupazione e lo sfruttamento indiscriminati del suolo, e solo marginalmente con mutazioni delle condizioni meteorologiche medie indotte da variazioni climatiche”. È nota altresì la normativa sulla prevenzione. “La normativa per la difesa del suolo ha subito alcune integrazioni, resesi necessarie per la mancata completa attuazione della L. 18 maggio 1989, n. 183, legge quadro in materia. Tale legge individuava nel piano di bacino idrografico lo strumento principale per la gestione del pericolo idrogeologico, demandandone l’elaborazione alle Autorità di bacino, per i bacini di rilievo nazionale, e alle Regioni, per i bacini minori. Tuttavia, palesi conflitti con altri enti competenti sul territorio e carenze tecniche – secondo la Treccani – hanno impedito alle Autorità di bacino di definire i suddetti piani e, nel corso del tempo, anche in ragione della L. 4 dic. 1993, n. 493, che aveva previsto una gradualità nella realizzazione degli stessi, si è proceduto attraverso un’impostazione per progetti formulati secondo aree omogenee o settori tematici (piani di stralcio). Gli atti giuridici per la definizione di questi strumenti di pianificazione sono quasi sempre intervenuti al seguito di catastrofi idrogeologiche: il d. l. 11 giugno 1998, n. 180, confermato dalla L. 3 agosto 1998, n. 267, e corredato per gli indirizzi di coordinamento dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 sett. 1998, è successivo all’evento calamitoso, causato da rovinose colate di fango, occorso in diversi territori del Salernitano, dell’Avellinese e del Casertano, noto con il nome del comune più colpito, Sarno; il d. l. 12 ott. 2000, n. 279, che stabilisce interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, segue i tragici eventi di esondazione, causati da intense precipitazioni, verificatisi nel territorio del comune di Soverato in Calabria. Le Autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale, e le Regioni per i restanti bacini sono vincolate ad adottare piani di stralcio per l’assetto idrogeologico contenenti, in particolare, l’individuazione delle aree a rischio idrogeologico e la perimetrazione di quelle da sottoporre a misure di salvaguardia”. L’attività di pianificazione della lotta al dissesto idrogeologico ha comunque conseguito negli anni più recenti risultati significativi. “Nel 1999, infatti, sono stati approvati alcuni importanti piani di stralcio (di bacino “Attività estrattive” e “Qualità delle acque” da parte dell’Autorità di bacino del fiume Arno, piani di stralcio “Assetto idrogeologico” per il fiume Po, “Riduzione del rischio idraulico” per il fiume Arno, “Difesa dalle alluvioni” e “Tutela ambientale della zona Le Mortine” per i fiumi Liri-Garigliano e Volturno) e sono stati avviati 109 interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico in aree che presentano complessivamente una popolazione altamente esposta di 130.000 persone. È stata inoltre predisposta dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, in collaborazione con il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali e l’ANPA, la prima analisi omogenea a livello nazionale del pericolo idrogeologico (livello di attenzione per il rischio idrogeologico definito in frazione di un indice calcolato a scala comunale), dalla quale sono risultati 3671 i comuni a rischio molto elevato e a rischio elevato (45,3% del totale dei comuni italiani). Per tale elaborazione gli estensori si sono avvalsi dei dati risultanti dall’attività degli enti preposti allo studio e alla gestione dei fenomeni associati: GNDCI (Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche); Dipartimento della protezione civile; Servizio geologico nazionale; Servizio idrografico e mareografico nazionale. In partic., il GNDCI, nel contesto del progetto AVI (Aree vulnerate italiane), ha ultimato (1998) l’archivio digitale delle zone colpite da frane e inondazioni, provvedendo alla pubblicazione di una carta sinottica a scala 1:1.200.000, nella quale sono riportate oltre 15.000 località che hanno subito eventi catastrofici (9085 frane e 6456 inondazioni); sono stati completati gli studi di verifica del grado di efficacia dell’archivio riguardo alla valutazione e alla perimetrazione della pericolosità da frane e inondazioni. Inoltre, il Servizio geologico nazionale ha portato a termine nel 1999 la determinazione della “propensione al dissesto” dei territori comunali: partendo dalla carta della propensione al d. della litologia affiorante, dedotta dall’elaborazione sintetica georeferenziata dei dati AVI relativi ai fenomeni franosi sulla carta geologica alla scala 1:500.000, è stato calcolato, per ogni formazione geologica, un indice di franosità come rapporto tra il numero di frane occorse nella formazione stessa e l’area della sua superficie affiorante, in base al quale i terreni sono stati classificati ad alta, media o bassa propensione al dissesto; si è successivamente giunti alla carta della classificazione dei territori comunali in base alla propensione al dissesto, calcolando, per ogni singolo comune, la percentuale di territorio ricadente nelle classi precedentemente definite”. Insomma, gli strumenti ci sono. Così come i progetti e, quindi, i soldi per attuarli. Allora di che cosa parlano i talk-show italiani sull’onda emotiva dell’ultimo disastro solo in ordine temporale? Certamente non del Progetto REAKT (acronimo di Strategies and Tools for Real Time Earthquake Risk Reduction) che è stato definito nell’ambito della Commissione Europea come uno dei più ambiziosi progetti di ricerca sulla Riduzione del Rischi Naturali in Europa finanziato nell’ambito del Settimo Programma Quadro. I terremoti sono tra gli eventi naturali cui il territorio europeo è più esposto. Negli ultimi 35 anni (1976-2010) il 20% dei terremoti catastrofici avvenuti nel nostro pianeta si sono verificati in Europa, producendo circa 62.000 morti, ossia il 7% delle vittime per eventi sismici nell’intero pianeta, e danni per circa 111.000 milioni di euro. Parte della popolazione europea, soprattutto nella fascia costiera mediterranea, è esposta a livelli di pericolosità sismica simili a quelli delle popolazioni del Giappone e della zona pacifica degli Stati Uniti. Tuttavia, secondo gli esperti, la vulnerabilità individuale è da 10 a 100 volte maggiore di quelle del Giappone e degli Stati Uniti. Nonostante la popolazione delle città europee non tenda infatti ad aumentare sostanzialmente, il rischio sismico nelle aree urbane tende ad aumentare nel tempo a causa della crescente industrializzazione e del networking di infrastrutture, linee di servizio ed economie, che rendono le città europee sempre più vulnerabili. Le azione preventive, quali l’adeguamento delle strutture esistenti e l’adozione di codici di costruzioni anti sismici, sono la base e l’elemento essenziale di una strategia per mitigare i danni prodotti dai terremoti. Ma nelle città europee una gran parte delle popolazioni vive in centri storici o comunque in aree non costruite con criteri anti sismici adeguati. L’Italia conserva il 70% del patrimonio culturale dell’umanità. Un modo per ridurre la vulnerabilità della popolazione concentrata in aree urbane, è l’utilizzazione di metodologie di mitigazione dei rischi in tempo reale. Come l’early warning sismico-vulcanico-meteo e l’uso di procedure operative basate su previsioni a medio e breve termine che però sono caratterizzati da livelli molto bassi di probabilità assoluta. Procedure di quest’ultimo tipo non sono state finora sviluppate in nessun Paese dell’Unione Europea, mentre quelle le early warning sono applicate intensivamente solo in Giappone, dove esiste un’apposita legislazione che ne regola l’uso. Il metodo tra l’altro ha funzionato bene nel ridurre i danni del recente terremoto di magnitudo eccezionalmente alta (oltre la nona) che ha colpito la costa orientale dell’isola di Hon-shu. Nel progetto REAKT per la prima volta tutte le componenti di un sistema di riduzione in tempo reale del rischio sismico vengono trattate insieme con un approccio sistematico e probabilistico. La sezione scientifica del progetto è articolata in sei parti, che formano una successione logica. Essa inizia dalla caratterizzazione di fenomeni transienti (deformazioni del suolo, pressione di poro, emissioni gassose, micro-sismi) cioè fenomeni variabili nel tempo che possono iniziare da mesi a giorni prima di una scossa distruttiva che essi stessi possono aver contribuito a innescare. Ciò verrà fatto utilizzando metodologie innovative di osservazione nell’area di Corinto, nel Mar di Marmara, lungo la faglia Nord-Anatolica e in Irpinia. Queste informazioni saranno poi inglobate nei modelli di previsione probabilistica dei terremoti. Oggi disponiamo di calcolatori elettronici fantastici che rendono possibile l’impensabile. Un obiettivo del progetto è portare queste metodologie a un livello pre-operativo. Il passo successivo riguarderà i metodi di early warning e la diminuzione dell’incertezza nella previsione dell’accelerazione del suolo sotto l’obiettivo prescelto, migliorando anche la performance dei sistemi automatici per la protezione di edifici. Verrà poi affrontato il problema della vulnerabilità delle strutture e delle reti di servizio sviluppando metodologie che permettano una valutazione della variabilità nel tempo di questa componente. Infine verranno affrontati i problemi della informazione della popolazione e della decisione delle strategie da adottare quando l’informazione su cui basarsi è caratterizzata da grandi livelli di incertezza e tempi molto brevi. Infine il progetto determinerà la fattibilità di applicazione dei metodi early warning per la difesa di diversi tipi di infrastrutture e di servizi. Le applicazioni previste includono una centrale nucleare in Svizzera, alcuni ponti di grande traffico ad Istanbul e a Corinto, la linea di fornitura del gas alla città di Istanbul, ospedali, un grande complesso industriale in Portogallo, la principale centrale elettrica e la linea di trasporto dell’energia elettrica in Islanda, e l’istallazione di un sistema di early warning regionale nei Caraibi. Per quanto riguarda l’Italia gli studi applicativi riguarderanno la fattibilità e l’opportunità della trasformazione della accelerometrica nazionale (RAN) del Dipartimento di Protezione Civile in una rete di early warning nazionale, l’applicazione a difesa del tratto Nola-Baiano (il più vicino alla faglia dell’Irpinia) della Ferrovia Circumvesuviana, e l’implementazione del metodo in due scuole, una a Sant’Angelo dei Lombardi, una delle zone più devastate dal terremoto dell’Irpinia del 1980, e l’altra nell’area vesuviana. Insomma, servono progetti concreti per salvare vite umane prima delle catastrofi. Questo è un atto di Giustizia.

Nicola Facciolini

Fonte: http://www.improntalaquila.org

martedì 25 ottobre 2011

Finmeccanica e il giallo dello “scova-tumori”



clarbruno-vedruccio-SLIDERNella foto Clarbruno Vedrucci prova il TrimProb su una pazienteTrimProb può diagnosticare precocemente il cancro. Ma l'azienda ne ha fermato la produzione

ROMA – Si chiama Tissue resonance interferometer probe ed è un tubo lungo 30 centimetri che permette di scoprire i tumori non appena cominciano a formarsi. Costo dello strumento: 40 mila euro, contro i milioni di euro per acquistare una macchina per la risonanza magnetica o una Tac, mentre il paziente per una visita - convenzionata con il Sistema sanitario nazionale - paga 40 euro. Una piccola ma importante invenzione tutta italiana, che la società costruttrice, Galileo Avionica del gruppo Finmeccanica, ha smesso di produrre quattro anni fa.

Per quale motivo? Nessuno, a cominciare dall'inventore Clarbruno Vedruccio, ha ancora una risposta. Il TrimProb costa molto meno di altri macchinari diagnostici, ha spese di gestione più contenute e non è dannoso per il paziente perché sfrutta le onde elettromagnetiche anziché le radiazioni per individuare le cellule tumorali. Il Ssn lo ha inserito nel repertorio dei dispositivi medici e circa cinquanta centri su tutto il territorio nazionale lo utilizzano abitualmente. "Al policlinico Umberto I viene usato per circa mille visite ogni anno", spiega il Prof. Costantino Cerulli a Romacapitale.net. Eppure Finmeccanica ha scelto di non produrlo più.

La Galileo Avionica ha cominciato a fabbricare il TrimProb, su licenza di Vedruccio, all'inizio del Duemila. Sul sito internet dell'azienda – che nel frattempo è stata fusa con la britannica Selex Sensors Ltd ed è diventata Selex Galileo spa – si legge ancora il comunicato stampa che elogia la portata scientifica di questo bioscanner: "Galileo Avionica, una società Finmeccanica operante nel campo della difesa, avvalendosi di competenze e tecnologie militari avanzate ha industrializzato una strumentazione diagnostica, portatile e non invasiva, denominata TrimProb, che consentirà di evidenziare in tempo reale e in maniera decisamente precoce diverse patologie, dagli stati infiammatori alle formazioni tumorali". Un successo intercontinentale: nel giro di pochi anni dal lancio la macchina comincia ad essere usata in Giappone, Brasile, Regno Unito, Francia, Belgio.

Poi nel gennaio 2008 lo stop: viene fermata la produzione e la TrimProbe spa, società creata ad hoc da Galileo Avionica per distribuire il macchinario, viene messa in liquidazione. Da allora l'apparecchio diagnostico esce dal mercato e a Clarbruno Vedruccio, fisico, ingegnere elettronico e capitano di fregata della Marina militare, rimangono solo i costi di mantenimento del brevetto. Che, data la diffusione internazionale del TrimProb, sono altissimi.

Finmeccanica ha detto di aver fermato la produzione perché l'azienda si occupa solo di difesa. Cosa che non spiega, allora, perché il gruppo ha acquistato la licenza da Vedruccio quasi dieci anni fa e perché poi ha costituito una società per la distribuzione dell'apparecchio. La palla ora passa ai ministri della Salute e delle Finanze, chiamati a rispondere a un'interrogazione del senatore Idv Elio Lannutti. E soprattutto a spiegare per quale motivo un'azienda controllata dallo Stato abbia dismesso la produzione di un macchinario dall'efficacia diagnostica sperimentata e quanto questa decisione, dalle logiche ancora poco chiare, sia costata all'erario.

(Federica Ionta)

Fonte: http://www.romacapitale.net

lunedì 17 ottobre 2011

Cari romanisti questa volta vi abbiamo purgato noi!


Vittoriosa la prima squadra della capitale, nata 27 anni prima della Roma




Talvolta molte cose accadono per caso, talvolta perché c’è una giustizia che regola i conti. Fortunatamente, a volte, la provvidenza esiste: ieri sera ne abbiamo avuto la conferma.
Era troppo tempo che il popolo laziale non viveva una serata così… Ha sofferto tanto, in questi lunghi due anni di astinenza da derby. Ma, come per incanto, è arrivato il “buono” che ha sconfitto l’antagonista proprio alla fine, con il più classico dei colpi di scena. In una favola forse… Non nella vita: ma ecco che Miroslav Klose, il tedesco arrivato tra i mugugni della gente ignorante che non lo conosceva, al 93esimo minuto raccoglie una palla deliziosa da Matuzalem e la mette dentro con un piattone che non lascia scampo a Stekelenburg. E’ il delirio. Il principe biancazzurro ha dunque sconfitto il drago giallorosso, e ha baciato quella spendida principessa che si chiama “Curva Nord”, risvegliandola da un torpore che stava ormai diventando lacerante.
E’ la vittoria del cuore, questo 2-1. E’ la vittoria del povero Reja, sempre crocifisso dall’opinione generale. E’ la vittoria della Lazio.
In un derby ci può anche stare di andare sotto dopo 4 miseri minuti grazie al gol di Osvaldo, che “onora” il capitano giallorosso (assente per infortunio), con una gag non proprio felice, dato il proseguo della partita… La Lazio subisce il colpo ma riesce a contenere qualche momento di sbandamento fino al primo tempo. La seconda frazione di gioco parte subito alla grande: Hernanes offre un passaggio filtrante prezioso a Brocchi che, strattonato da Kjaer, cade a terra: rigore ed espulsione ordinati da Tagliavento, che finalmente si è dimostrato un arbitro di livello.


Il Profeta prende la rincorsa, fa un passetto laterale, e trafigge il portiere giallorosso con un destro nell’angolino a destra. E’ pareggio!
Ciò che avviene dopo è solo poesia: la Lazio domina, colpendo una traversa di testa col Panzer Klose e un clamoroso palo col Leone Nero Djibril Cisse, che prende la mira e demolisce la porta di Stekelenburg colpendo il montante.
Cosa è successo dopo è sotto gli occhi di tutti, e nella memoria di tanti. Non ci sono parole che lo possono descrivere.
Grazie di cuore, Lazio… GRAZIE, MIROSLAV.

Thomas Berardi

www.sslazionews.it


lunedì 10 ottobre 2011

I 10 luoghi più radioattivi del pianeta

Una classifica inquietante

I 10 luoghi più radioattivi del pianeta

Non solo luoghi ormai considerati apocalittici, ma anche posti apparentemente incontaminati figurano in questa inquietante classifica dei dieci luoghi più radioattivi del pianeta. Tra essi anche il Mar Mediterraneo.
5 ottobre 2011 - Antonella Recchia
Fonte: brainz.org

nuclear fireball Nonostante il terremoto del 2011 e le preoccupazioni per Fukushima abbiano riportato la minaccia della radioattività di nuovo nella coscienza pubblica, molte persone non si rendono ancora conto che la contaminazione è un pericolo che riguarda tutto il mondo. I radionuclidi figurano tra le prime sei minacce tossiche, come indicato da un rapporto del 2010 del Blacksmith Institute, una organizzazione non governativa che si occupa di inquinamento. Potreste restare sorpresi dalla posizione di alcuni dei luoghi più radioattivi al mondo – e quindi dal numero delle persone che vivono nel terrore per gli effetti che le radiazioni possono avere su di loro e sui loro figli.

10. Hanford, USA
hanford site waste Il sito di Hanford, a Washington, era parte integrante del progetto di bomba atomica degli USA, avendo prodotto plutonio per la prima bomba nucleare e per la bomba “Fat Man”, usata a Nagasaki. Durante la Guerra Fredda, il sito intensificò la produzione, fornendo plutonio per la maggior parte delle 60.000 armi nucleari americane. Anche se dismesso, contiene ancora due terzi del volume delle scorie altamente radioattive del paese – circa 53 milioni di litri di scorie liquide, 25 milioni di metri cubi di rifiuti solidi e 200 chilometri quadrati di acque contaminate al di sotto dell’area, che lo rendono il sito più contaminato degli Stati Uniti. La devastazione ambientale di quest’area dimostra che la minaccia della radioattività non è semplicemente qualcosa che può arrivare con un attacco missilistico, ma può nascondersi nel cuore del proprio stesso paese.

9. Il Mediterraneo

Sardegna Da anni, la ‘Ndrangheta è accusata di aver usato il mare come un luogo comodo per sversare rifiuti pericolosi – scorie radioattive comprese – tariffando il sevizio e intascando i profitti. Legambiente sospetta che circa 40 navi cariche di rifiuti tossici e radioattivi siano scomparse nelle acque del Mediterraneo dal 1994. Se queste accuse fossero vere, dipingerebbero il quadro preoccupante di un quantitativo sconosciuto di scorie nucleari nel Mediterraneo il cui vero pericolo sarà davvero compreso quando le centinaia di barili si deterioreranno o se in qualche modo dovessero aprirsi. La bellezza del Mar Mediterraneo potrebbe davvero nascondere una catastrofe ambientale in corso.


8. La costa somala
somalia barrel toxic L'organizzazione mafiosa italiana appena citata non ha condotto i suoi loschi affari solo nei propri confini. Vi sono anche accuse che le acque e il suolo somalo, non protetti dal governo, siano stati usati per l’affondamento o l’interramento di scorie nucleari e metalli tossici – tra i quali 600 barili di rifiuti tossici e nucleari, e rifiuti ospedalieri radioattivi. Infatti, secondo il Programma Ambiente delle Nazioni Unite, i barili arrugginiti contenenti scorie trascinati sulle coste somale durante lo Tsunami del 2004 sarebbero stati scaricati in mare già negli anni ’90. La Somalia è un'anarchica terra desolata, e gli effetti di queste scorie sulla popolazione impoverita potrebbero essere addirittura peggiori di ciò che questa gente ha già sperimentato.

7. Mayak, Russia
mayak nuclear Il complesso industriale di Mayak, nel nord-est della Russia, ha un impianto nucleare da decenni, e nel 1957 è stato teatro di uno dei peggiori incidenti nucleari del mondo. Fino a 100 tonnellate di scorie radioattive furono rilasciate in seguito ad una esplosione che contaminò un’area enorme. L’esplosione è stata tenuta segreta fino agli anni ’80. A partire dagli anni ’50, le scorie della centrale venivano scaricate nell’area circostante e nel Lago Karachay. Ciò ha portato alla contaminazione della riserva d’acqua sulla quale migliaia di persone fanno affidamento ogni giorno. Gli esperti ritengono che Karachay è forse il luogo più radioattivo del mondo, e oltre 400.000 persone sono state esposte alle radiazioni provenienti dall’impianto in seguito a diverse serie di incidenti accaduti – tra i quali incendi e micidiali tempeste di sabbia. La bellezza naturale del Lago Karachay nasconde i suoi inquinanti mortali, e i livelli di radiazione nei punti in cui le scorie radioattive scorrono nelle sue acque sono sufficienti ad uccidere un uomo nell’arco di un’ora.

6. Sellafield, UK
sellafield Situata sulla costa occidentale dell’Inghilterra, Sellafield era originariamente una struttura che produceva plutonio per le bombe nucleari, ma in seguito si è indirizzata verso l’ambito commerciale. Sin da quando è diventata operativa, centinaia di incidenti si sono verificati nell’impianto, e circa due terzi degli edifici stessi sono ora classificati come rifiuti nucleari. L’impianto rilascia giornalmente qualcosa come 8 milioni di litri di scorie contaminate nel mare, rendendo il Mare d’Irlanda il mare più radioattivo del mondo. L’Inghilterra è famosa per le sue distese verdi e per i suoi paesaggi ondulati, ma, annidata nel cuore di questa nazione industrializzata c’è una struttura tossica, soggetta ad incidenti, che vomita scorie pericolose negli oceani del mondo.

5. Complesso Chimico Siberiano, Russia
Siberia Mayak non è l’unico sito contaminato in Russia; la Siberia ospita un complesso chimico che contiene scorie nucleari accumulatesi per oltre quattro decadi. I rifiuti liquidi sono accantonati in piscine non coperte e container mal tenuti conservano oltre 125.000 tonnellate di rifiuti solidi, mentre lo stoccaggio sotterraneo è potenzialmente a rischio di perdita nelle acque sotterranee. Pioggia e vento hanno diffuso la contaminazione nella natura e nella zona circostante. Vari incidenti minori hanno portato alla perdita di plutonio e ad esplosioni che hanno diffuso radiazioni. Sebbene il paesaggio innevato abbia un aspetto puro ed immacolato, i fatti parlano chiaro sui veri livelli di inquinamento riscontrati nell’area.

4. Il Poligono, Kazakistan
kazakhstan map Un tempo, luogo dove l’Unione Sovietica effettuava i suoi test atomici, oggi quest’area fa parte del nuovo Kazakistan. Il sito fu destinato al progetto per la bomba atomica sovietica a causa del suo status di area “disabitata” – a dispetto del fatto che vivessero nell’area 70.000 persone. In questa struttura l’URSS fece detonare la sua prima bomba atomica; il luogo detiene il record di maggior concentrazione di esplosioni nucleari al mondo: 456 test nell’arco di 40 anni dal 1949 al 1989. Mentre gli esperimenti condotti nella struttura – e il loro impatto in termini di esposizione alle radiazioni – furono tenuti segreti dai sovietici fino alla chiusura della struttura nel 1991, gli scienziati calcolano che la salute di 200.000 persone sia stata direttamente danneggiata dalle radiazioni. Il desiderio di distruggere paesi stranieri ha portato allo spettro della contaminazione nucleare che incombe sulla testa di coloro che una volta erano cittadini dell’URSS.

3. Mailuu-Suu, Kirghizistan
mailuu-suu E’ considerato uno dei dieci siti più inquinati della Terra dal rapporto del Blacksmith Institute del 2006. Le radizioni a Mailuu-Suu non derivano da bombe nucleari o da centrali, ma dall’estrazione dei materiali necessari ai processi che queste comportano. L’area ospitava una struttura di estrazione e lavorazione dell’uranio; oggi restano 36 discariche di scorie di uranio – oltre 1, 96 milioni di metri cubi. La regione è anche a rischio sismico, ed una qualsiasi rottura del contenimento potrebbe scoperchiare il materiale o causare la caduta delle scorie nei fiumi, contaminando l’acqua utilizzata da centinaia di migliaia di persone. Questa gente potrebbe non dover mai vivere il pericolo di un attacco nucleare, ciononostante, hanno buone ragioni di temere una pioggia radioattiva ogni volta che la terra trema.

2. Chernobyl, Ucraina
chernobyl disaster Teatro di uno dei più gravi e nefandi incidenti nucleari del mondo, Chernobyl è ancora fortemente contaminata, nonostante il fatto che ora ad un piccolo numero di persone sia consentito stare nell’area per un periodo limitato di tempo. Il famoso incidente provocò l’esposizione alle radiazioni per oltre 6 milioni di persone, mentre le stime riguardo al numero dei morti causati dal disastro di Chernobyl vanno dai 4.000 a addirittura 93.000. L’incidente rilasciò 100 volte più radiazioni delle bombe di Hiroshima e Nagasaki. La Bielorussia ha assorbito il 70 per cento delle radiazioni, e da allora i suoi abitanti devono confrontarsi con un aumento dell’incidenza dei tumori. Ancora oggi, la parola Chernobyl evoca immagini orribili di sofferenza umana.

1. Fukushima, Giappone
fukushima reactor Le tragedie del terremoto e dello tsunami del 2011 hanno distrutto case e vite umane, ma gli effetti della centrale nucleare di Fukushima rappresentano forse il pericolo più duraturo. Il peggior incidente nucleare dopo Chernobyl ha causato la fusione del nocciolo di tre dei sei reattori, perdita di materiale radioattivo nell’area circostante e nel mare, rilevato fino a 200 chilometri dall’impianto. Siccome l’incidente e le sue conseguenze sono ancora in corso, non si conosce ancora la reale portata dell’impatto ambientale. Il mondo sentirà ancora gli effetti di questo disastro nelle generazioni a venire.

Tradotto da Antonella Recchia per PeaceLink . Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.

domenica 9 ottobre 2011

L’Italia voleva inviare scorie nucleari in India



di Alessandro De Pascale

WIKILEAKS. Il sottosegretario Letta chiese «disperatamente» a Washington di «riprendersi» 64 barre radioattive di una centrale Usa stoccate a Rotondella. Poi provò a mandarle altrove.

«Il nucleare è più pericoloso da morto che da vivo», denunciò nel gennaio 2010, alla Commissione ecomafie, il procuratore Nicola Maria Pace. Ancora di più se un Paese da l’impressione di essere incapace di gestire l’eredità atomica. Nell’impianto Itrec di Rotondella (Matera) tuttora sono stoccate 64 barre, più altri 2,7 metri cubi di materiale liquido, «ad alta radioattività». Secondo Pace, che per anni ha indagato sulla gestione delle scorie, si trovano «in strutture ingegneristiche di contenimento, che già vent’anni fa avevamo mostrato i segni dell’usura» con «cedimenti strutturali» che «avevano dato luogo a tre rilevanti incidenti nucleari». Mettendo a rischio «popolazione e ambiente». Dai cable segreti diffusi da Wikileaks e scritti tra il 2004 e il 2010, emerge che l’Italia ha chiesto «disperatamente» agli Stati Uniti di «riprendersi» quelle barre che sono all’Itrec da oltre 40 anni. Negli anni Settanta erano arrivate nel nostro Paese proprio dagli Usa per «esaminare la fattibilità tecnico-scientifica» del riprocessamento. Provengono dal reattore sperimentale Err della centrale Elk River (Minnesota), chiuso nel gennaio 1968 e realizzato nell’ambito di un progetto di ricerca italo-statunitense. Non possono essere trattate da nessun impianto europeo. Tanto che il decreto Marzano del 2004 sul trasferimento all’estero delle scorie, esclude esplicitamente il materiale di Rotondella. Restano così da allora in una piscina di stoccaggio e secondo il procuratore Pace «rappresentano ancora oggi il principale fattore di rischio dell’impianto».

Ne è cosciente anche il governo Berlusconi che però non è mai riuscito a trovare un soluzione. Nel febbraio 2004, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, scrive una lettera all’allora ambasciatore Usa a Roma, Ronald P. Spogli. Agli americani spiega che le barre di Rotondella sono «un problema molto importante, anche dal punto di vista psicologico, da risolvere con la massima urgenza». L’Italia, aggiunge poi Letta, si rende «disponibile a trasferire il materiale negli Usa a proprie spese, sulla base degli standard americani». Ma bisogna fare presto, perché altrimenti «saremo costretti a inviarle in Russia per i prossimi 50 anni», continua il sottosegretario. «La questione è politicamente sensibile per il premier Berlusconi - commenta l’ex ambasciatore Spogli in un successivo cable del 2006 - perché sta affrontando una dura battaglia per essere rieletto nel mese di aprile». Cosa che poi non avverrà, visto il ritorno al governo del centro-sinistra di Romano Prodi, per i successivi due anni. Gli Stati Uniti descrivono Letta come «la seconda persona più potente d’Italia e uomo chiave per curare i nostri interessi». Ma si oppongono fermamente al trasferimento delle scorie negli Usa, meno che mai in Russia. Nonostante le altre 190 barre dell’Elk River siano stoccate al Savannh River National Laboratory del Sud Carolina. Il sottosegretario Letta non ci sta e nel marzo 2006 torna alla carica con una seconda lettera, dove però chiede «se gli Stati Uniti approverebbero l’invio del materiale in India». La risposta non è nota ma quelle barre sono ancora a Rotondella.

Fonte: http://www.terranews.it