venerdì 12 aprile 2013

La mappa dei migliori (e peggiori) ospedali italiani

mappa sanità

Un malore. Una chiamata al 118 e una corsa a sirene spiegate verso il pronto soccorso più vicino. Ma per il paziente, dove quell’ambulanza è diretta può fare una grandissima differenza. Lo mostrano i dati raccolti dall’ Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che monitora le performance di 1.200 ospedali italiani. Sono dati utilizzati in tutto il mondo e pensati per mettere a punto politiche sanitarie e spesa pubblica (la Sanità, da sola rappresenta ormai l’80% della spesa pubblica regionale). Oggi, per la prima volta, sono liberamente consultabili dai non addetti ai lavori grazie alla mappa interattiva disponibile su Wired.it. “È impossibile dare una pagella agli ospedali”, avverte il direttore scientifico di Agenas, Carlo Perucci: “Ogni indicatore ha una sua valenza specifica”.
Rimane il fatto che se si calcola la media regionale per ognuno dei 19 indicatori che abbiamo confrontato, se ci si deve sottoporre a un bypass aorto-coronatico viene proprio voglia di non trovarsi in un ospedale campano (più di sette pazienti su cento muoiono). Per un tumore gastrico maligno più di uno su dieci non ce la fa. Quelli campani sono i numeri peggiori a livello nazionale, ma a Nord le cose non vanno per forza meglio. La Liguria, per esempio, ha il primato di mortalità su ben tre fronti: scompenso cardiaco (12,9%), collo del femore fratturato (8,68%) e tumore maligno al colon (5,87%). Il Veneto ha il rischio record in caso di intervento post-infarto sia senza l’angioplastica, che serve a dilatare il vaso sanguigno danneggiato (22,42%), sia con angioplastica (5,51%). Questi numeri raccontano in maniera impietosa la qualità delle singole performance degli ospedali e della situazione sanitaria nazionale. Ma la loro precisione matematica va presa con precauzione perché sono basati sulle schede di dimissione ospedaliera (Sdo), che raccontano solamente alcuni aspetti dell’attività ospedaliera. “Gli indicatori”, spiega Perucci: “misurano solo ciò che è possibile misurare”. Certo, esistono attività sanitarie che non possono essere descritte così facilmente da statistiche e alcune di esse non vengono nemmeno svolte all’interno delle strutture ospedaliere. Ma pur prendendo cum grano salis i numeri di Agenas, impressiona vedere sei ospedali pubblici di grandi dimensioni con un rischio di decesso dei pazienti superiore alla media nazionale per tutti i 19 indicatori che abbiamo esaminato: l’ospedale civile di Venezia, il San Paolo a Civitavecchia, il San Giovanni Evangelista di Tivoli, il San Paolo a Napoli, l’ospedale di Venere a Bari e il Gravina e San Pietro di Caltagirone.



La fotografia assume tinte ancora più fosche quando alle performance accostiamo la situazione finanziaria. Secondo Cermlab, il think tank che si occupa di politiche pubbliche, l’Italia appare spaccata in due e, troppo spesso, a grandi spese non corrispondono migliori cure. Se l’andamento della qualità, pur con eccezioni, tende a premiare il Nord, sul fronte della gestione economica il Sud mostra costi nettamente più alti. Oggi più di due terzi del deficit della sanità, quasi 1,8 miliardi di euro (dati 2011), è dovuto a Campania, Sicilia, Puglia, Calabria e Lazio. “Viviamo in una transizione che dura da 15 anni”, sottolinea Nicola Salerno di Cermlab: “caratterizzata da una serie di riforme inattuate del sistema sanitario”. Nell’analisi del Cermlab, perfettamente in accordo con i numeri della Corte dei Conti utilizzati per la mappa di Wired, la qualità complessiva delle regioni (non solo quella degli ospedali, ma il complesso del servizio sanitario) è stata messa in relazione ai profili di spesa. Risultato? I migliori sistemi regionali nel, diciamo così, rapporto qualità/prezzo sono Friuli Venezia Giulia e Umbria. Seguono praticamente tutte le regioni del Nord, mentre il Sud più il Lazio rimangono staccate in fondo alla classifica. ” Ci sono regioni con qualità buona, come il Lazio, ma raggiunta con una spesa elevata” spiega Salerno: ” e regioni che spendono magari poco, come la Calabria, ma che offrono scarsa qualità. Queste ultime sono le situazioni più disperate, perché non ci sono le risorse per migliorare le strutture“. Se tutte le regioni potessero migliorare l’erogazione della qualità imitando Friuli Venezia Giulia e Umbria, ci sarebbero 12 miliardi di euro l’anno, pari allo 0,8% del Pil, che potrebbero diventare nuovi investimenti nella sanità. Ma attenzione, non si tratta di tagli solo alla cattiva spesa, sono piuttosto 12 miliardi a cui ” un sistema simile a un acquedotto che perde ha impedito di tradursi in prestazioni per i cittadini“.
Collegare performance ospedaliere ed economiche non è immediato perché le variabili che intervengono non dipendono solo dalla gestione sanitaria. Non ha funzionato il federalismo sanitario proposto nel 2009 e sospeso per la crisi dell’ultimo governo Berlusconi. E gli ostacoli al tentativo di legare finanziamento e performance, come quelle misurate da Agenas, non sono pochi ” in un Paese“, osserva Salerno: ” in cui non mancano i dati per valutare, ma la capacità di utilizzarli per prendere decisioni“. Da questo mese abbiamo un nuovo parlamento e nuovo governo: saranno all’altezza della sfida di migliorare la sanità italiana? Per l’ Organizzazione mondiale della sanità il nostro sistema è un modello di equità, ma rischia di diventare finanziariamente insostenibile.

GUARDA LA MAPPA

Fonte: daily.wired.it

Nessun commento:

Posta un commento