lunedì 22 luglio 2013

L’industria del cancro: il business della mammografia

mammografia 

Il  piccolo segreto dell’industria del cancro sta proprio nel fatto che gli stessi oncologi che catechizzano le donne con la credenza della familiarità con il cancro sono quelli che realizzano enormi profitti vendendo loro i chemioterapici. Il conflitto di interessi e l’abbandono dell’etica nell’industria del cancro lascia senza fiato.

Un nuovo studio scientifico ha confermato una teoria diffusa e poco conosciuta:  la maggior parte delle donne con “diagnosi” di cancro tramite mammografia non sarebbero state affette da cancro.
Questi studi avrebbero dimostrato che ben il 9% delle diagnosi precoci non procurerebbe alcun beneficio per le pazienti, secondo le statistiche pubblicate sul New England Journal of Medicine dal dottor Gilbert Weich.
Weich dichiara “Beh, la diagnosi precoce salva delle vite, proprio come ci hanno detto Komen e le associazioni no-profit riguardo il cancro”. Ma sbagliereste. Come abbiamo scoperto,  virtualmente non vi è stata riduzione degli stadi terminali del cancro alla mammella a partire da tutte queste diagnosi precoci, e questo significa che alla maggior parte delle donne a cui è stato detto di avere il cancro alla mammella dopo una mammografia probabilmente è stato mentito”.
E continua  “Abbiamo scoperto che ci sono state solo 0,1 milioni di donne in meno con una diagnosi di cancro alla mammella in fase terminale. La discrepanza significa che c’è stata molta diagnosi inutile ed esagerata: a più di un milione di donne è stato detto di avere un cancro in fase iniziale –molte delle quali hanno subito chirurgia, chemioterapia o radiazioni per un cancro che non le avrebbe mai fatte stare male. Anche se è impossibile sapere chi siano queste donne, il danno è evidente e serio”.
Secondo quanto detto dagli scienziati, “il cancro alla mammella è stato over-diagnosticato (cioè sono stati trovati tumori in fase di screening ma questi non avrebbero mai portato a sintomi clinici) in almeno 1,3 milioni di donne americane negli ultimi 30 anni.”
Gli oncologi di queste donne avrebbero mentito: “se non acconsentite al trattamento, morirete entro sei mesi” .
Se ne dedurrebbe inoltre che la mammografia abbia una scarsa valenza diagnostico-scientifica.
Nonostante il sostanziale incremento delle diagnosi di cancro alla mammella in fase iniziale, lo screening mammografico avrebbe quindi solo marginalmente ridotto il numero di donne che si presentano con un cancro avanzato.
Oltretutto non risulterebbe provato   quali fossero le donne realmente affette, questo squilibrio suggerisce una sostanziale over-diagnosi in circa un terzo delle nuove diagnosi e che lo screening ha, nella migliore delle ipotesi, solo un minimo effetto sui tassi di morte da carcinoma alla mammella.

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