Di Vanna Brocca
La vivisezione moderna è nata nel 1800 in Francia con fisiologo Claude Bernard, che tra l’orrore di moglie e figlia sperimentava anche sul cane di casa.
Ma per chi segue l’argomento, le due date cruciali da tenere a mente
sono il 1937 e il 1947: fu allora, in quei due anni a cavallo della
Seconda Guerra mondiale, che la sperimentazione animale trovò la spinta
politica che le serviva per radicarsi estesamente nella pratica di laboratorio,
nei bilanci della grande industria e nel senso comune delle società
occidentali. Ed è a quegli anni che bisogna guardare per capire in che
modo e perché la ricerca medica e
tossicologica si sono inavvertitamente cacciate nel vicolo cieco in cui
si trovano oggi. Lo racconta un bel rapporto intitolato Il Codice di Norimberga,
da leggere e rileggere anche per la ricchissima bibliografia che lo
correda, appena pubblicato a firma di tre medici e ricercatori
americani: Ray Greek (presidente di Americans for Medical Advancement), Annalea Pippus (laureata in legge e psicologia) e Lawrence Hansen (nella top list del Journal of Alzheimer Disease per il suo contributo alla ricerca nel campo delle neuroscienze, materia che insegna alla University of California-San Diego School of Medicine di La Jolla).
La storia che ricostruiscono Greek e colleghi comincia nel 1937, quando
negli Stati Uniti morirono 107 persone cui era stato somministrato un
sulfamidico disciolto nel glicol etilenico, oggi più noto come
ingrediente dei prodotti antigelo. Tali furono la paura e lo scandalo
che in pochi mesi Washington promulgò una nuova legge, lo Us Federal Food, Drug and Cosmetics Act, che prescriveva di testare i farmaci sugli animali prima di commercializzarli.
Teatro degli eventi del 1947 fu invece l’aula del tribunale di Norimberga, dove gli Usa istruirono unprocesso contro 23 dirigenti di lager nazisti,
20 dei quali medici, chiamati alla sbarra non solo per aver gestito i
campi di concentramento nel modo che sappiamo ma anche per aver eseguito
una spaventevole serie di esperimenti sui prigionieri dei campi: per
studiare gli effetti del freddo, dell’altitudine, delle bruciature da
fosforo, del tifo, della malaria, del trapianto di ossa, dei
sulfamidici. Questo “Processo ai dottori” (da
non confondere con il primo e più noto processo a Goring, Hess e altri
gerarchi nazisti tenutosi, sempre a Norimberga, qualche mese prima) si
concluse con 7 assoluzioni, 9 condanne al carcere e 7 all’impiccagione.
Ma il suo frutto più corposo e duraturo fu un codice di principi etici
noto come Codice di Norimberga,
che indica con quali criteri va fatta (o non fatta) la sperimentazione
medica sull’uomo. E il cui assunto di fondo, lo stesso che informava lo Us Federal Food, Drug and Cosmetics Actamericano di dieci anni prima, era che sperimentare sugli animali fosse una alternativa vincente.
Non è così, ma in quegli anni non era facile rendersene conto. ”All’epoca dei processi di Norimberga” – scrivono Greek e colleghi – “le conoscenze mediche erano assai differenti da quelle che abbiamo oggi. La struttura del Dna non
era ancora stata spiegata, l’idea principale nella mente di chi
lavorava allo sviluppo di nuovi farmaci era quella, concepita da Ehrlich
e Salvarsan, di un proiettile magico (l’idea
che per ogni malattia, o quanto meno per ogni malattia infettiva,
esiste una sostanza chimica capace di interagire con il singolo sito
responsabile della malattia, e quindi di curarla senza danneggiare il
resto dell’organismo), la sintesi moderna dell’evoluzione era una teoria
nuova di zecca e gli animali e gli esseri umani sembravano essere più o meno identici,
a parte l’anima, caratteristica esclusiva dei secondi. Non si
realizzavano trapianti di organi, le malattie infettive erano ancora una
delle principali cause di morte nel mondo sviluppato, i settori
dell’etologia cognitiva e della cognizione animale non erano ancora nati
e non si erano ancora scoperte le differenze tra i gruppi etnici e tra i
sessi in relazione alla malattia e alle risposte ai farmaci. La fisica
cominciava allora a liberarsi dalle catene del determinismo e del
riduzionismo, ma la teoria del caos e della complessità erano di là da
venire”. Era, insomma, un mondo diverso. Perciò “Va scusato chi, negli
anni Quaranta, pensava che gli animali e gli esseri umani reagissero più
o meno allo stesso modo ai farmaci e alle malattie”.
Oggi queste scuse non valgono più. Le nuove conoscenze nel campo della
biologia evoluzionistica, della fisica, dell’etologia, le teorie del
caos e della complessità, la critica al determinismo e al riduzionismo
fanno piazza pulita di quelle certezze. Si è scoperto, per esempio, che
tutti i mammiferi possiedono sì più o meno gli stessi geni (grosso modo
si potrebbe costruire qualsiasi mammifero con i geni di un altro), ma
che la diversa espressione e regolazione di questi geni inevitabilmente
determina grandissime e imprevedibili differenze tra una specie e l’altra,
a cominciare dagli enzimi che metabolizzano i farmaci: “Enzimi diversi
metabolizzano farmaci diversi, metabolizzano gli stessi farmaci a
velocità diverse e formano metaboliti diversi, ognuno dei quali
influenza la tossicità e il dosaggio”.
Ecco spiegato come mai l’aspirina (Per_aspirin_ad_astra.. )- rimedio
miracolo per un’infinità di esseri umani da oltre cent’anni –
danneggia, uccide o rende malformi la maggior parte dei piccoli delle
specie animali. Ecco perché l’arsenico è velenoso per l’uomo ma innocuo per rospi, pecore e porcospini; perché gli scimpanzé non si ammalano di Aids, Epatite B e malaria; perché il cloroformio è innocuo per i ratti di sesso maschile ma cancerogeno per i ratti femmina…Ed ecco perché di
tutti i farmaci sperimentali che hanno successo sugli animali, il 96%
deve essere scartato nei successivi test clinici sull’uomo perché
tossico o inefficace o entrambe le cose (sì, avete letto bene:
il novantasei per cento). Il Rapporto di Greek, Pippus e Hansen è ricco
di spunti, esempi e spiegazioni di grande interesse e rimando alle sue
pagine chi vuole approfondire l’argomento, come pure al delizioso video
clip realizzato da The Magic Collectionintitolato Vivisezione: alcuni dati.
Ora, di nuovo all’avanguardia, gli Stati Uniti hanno
preso coscienziosamente atto della situazione avviando un progetto
rivoluzionario il cui scopo è portare al superamento della
sperimentazione animale, giudicata inaffidabile e dunque inutile, a
partire dal settore della tossicologia.
E’ un piano destinato a concludersi tra una dozzina d’anni o più: tanti
ce ne vorranno – calcolano – non solo e non tanto per mettere a punto i metodi sostitutivi (molti
dei quali esistono già o sono in via di realizzazione) quanto per
creare una nuova generazione di ricercatori e sperimentatori liberi dai
vecchi pregiudizi, capaci di utilizzare i nuovi mezzi di ricerca.
Immersa in un sonno catacombale, colpevolmente disattenta e ignara degli anni che passano e della conoscenza che si rinnova, l’Unione europea, invece, chiude gli occhi e prega che nessuno se ne accorga. La Direttiva 2010/63/UE sulla
sperimentazione animale, approvata dal parlamento di Strasburgo tre
anni fa, è un penoso collage di articoli tagliati a misura del grande
business della vivisezione: incapace di guardare avanti, indifferente
all’ecatombe di esseri viventi che si consuma in un fiume di denaro
senza costrutto. Negli Stati Uniti sono le grandi istituzioni
scientifiche a proclamare la necessità di una svolta radicale, per la
protezione della nostra salute e dell’ambiente. Da noi con la raccolta
di firme per l’Iniziativa europea Stop Vivisection,
tocca ai singoli medici, scienziati e cittadini dei 28 Stati Europeo
alzare la bandiera del progresso etico e scientifico, per chiedere alle
istituzioni di Bruxelles di farsi coraggio ed entrare anch’esse nel
terzo millennio, riscrivendo una direttiva che fa vergogna.
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